Written by 10:56 am Dermatologia

Andare oltre una semplice fotoprotezione

Una linea di prodotti lancia la sfida all’esposoma puntando sulla prevenzione e la riparazione del danno tissutale

Prof. Giovanni Leone, Coordinatore Scientifico Area Dermatologia, Centro di Fotodermatologia e Cura della Vitiligine, Ospedale Israelitico, Roma

Il concetto di “esposoma” è stato introdotto per la prima volta da Wild nel 2005, per indicare “la totalità delle esposizioni ambientali (non genetiche) a cui un individuo è soggetto a partire dal concepimento in avanti”. Il termine si contrappone a quello di genoma, l’insieme del patrimonio genetico di un individuo e il concetto rappresenta un nuovo approccio metodologico per valutare in modo sistematico le esposizioni e il loro effetto complessivo sullo stato di salute. Il concetto di esposoma rappresenta un nuovo approccio metodologico per valutare in modo sistematico le esposizioni e il loro effetto complessivo sullo stato di salute. L’esposoma comprende tre sotto-ambienti: a) quello esterno generale, che include fattori come clima e urbanizzazione, misurabili a livello di popolazione; b) quello esterno specifico dell’individuo, come dieta o abitudine al fumo, o, ad esempio per quanto riguarda gli aspetti di interesse dermatologico: l’esposizione volontaria ai raggi UV (ricreativa, professionale, cosmetica) misurabile a livello individuale con questionari, sensori ambientali o dosimetri personali; c) l’ambiente interno che include processi ormonali, infiammatori e molecolari, liberazione di mediatori, ecc. La radiazione UV solare fa parte del clima, quindi dell’ambiente esterno generale, ma è anche correlata alle abitudini specifiche, quelle proprie delle scelte di vita della persona, cioè volontarie, un esempio classico è l’esposizione al sole per motivi ricerativi. Quindi comprendiamo come l’esposizione alla luce solare nel suo insieme partecipi in larga parte all’esposoma. Quando parliamo di fotoprotezione, quindi, è fondamentale riconoscere i vari componenti dell’esposoma aldilà delle radiazioni ultraviolette, prendendo in esame anche fattori meno studiati come la luce visibile, le radiazioni infrarosse, l’inquinamento e il clima che svolgono un ruolo significativo nel fotoinvecchiamento e nella pigmentazione. Solo comprendendo questi processi, possiamo avvicinarci a un approccio sempre più completo alla salute dermatologica, oltre a renderci conto di quanto sia importante al giorno d’oggi disporre di prodotti cosmetici che possono agire a livello primario per l’efficacia fotoprotettiva, e a un livello secondario per quanto riguarda l’azione riparativa del danno cutaneo. Le attuali ricerche in fotobiologia, in relazione all’esposizione alla radiazione solare, recenti acquisizioni indicano che le lunghezze d’onda più importanti come causa del danno alla cute non sono solo rappresentate dalla radiazione UV, ma anche da altre componenti dello spettro luminoso solare. Nello specifico, oggi si attribuisce importanza alla radiazione visibile, e in particolare alla componente blu ad alta energia, High Energy Visible Light, (HEV) che può provocare anch’essa un danno a livello cellulare nella cute. Anche la radiazione infrarossa (IR), all’inizio trascurata, ha dimostrato di avere degli effetti importanti per quanto riguarda soprattutto l’insorgenza del fotoinvecchiamento cutaneo. Ritornando al concetto dell’esposoma, altrettanto importanti sono altri fattori, quali a esempio, l’inquinamento atmosferico ambientale che può intervenire da solo, provocando un danno mediato da contatto con particelle e sostanze tossiche, oppure anche tramite l’induzione di stress ossidativo con conseguente formazione di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno. La evidente complessità dei fenomeni appena descritti, mostra la necessità di poter disporre di prodotti basati su questo concetto più ampio di fotoprotezione avanzata e con un’efficace azione riparatrice del danno. Ma le formulazioni per essere veramente valide devono anche garantire un effetto preventivo sul danno cellulare tramite il potenziamento e l’attivazione del meccanismo di riparazione del DNA danneggiato. Infine, ma non ultimo, servono anche risposte concrete relativamente alla crescente preoccupazione riguardo alla sicurezza dei fotoprotettori, per esempio relativamente alla loro ipotetica capacità di indurre effetti sul sistema endocrino e quelli che potrebbero conseguire a una loro penetrazione nella cute. Non va trascurato neanche l’effetto che queste sostanze possono avere sull’ambiente e in particolare sugli organismi marini, preoccupazioni basate sull’evidenza di una non completa biodegradabilità, di un bioaccumulo e quindi di un impatto negativo su flora e fauna marina. Tutto ciò potrebbe portare a modificazioni ormonali e disturbi endocrini nei pesci e nelle catene alimentari. Da qui la grande importanza che i prodotti siano Eco Friendly e i filtri UVA/UVB in essi contenuti conformi al “protocollo delle Hawaii” (Gennaio 2021) per non impattare più di tanto sull’ecologia marina. Riassumendo, l’efficacia di un fotoprotettore si fonda su una funzione primaria, dovuta alla presenza di molecole filtranti o schermanti, finalizzata a bloccare le lunghezze d’onda nocive dello spettro solare.Una azione secondaria, invece, è dovuta alla presenza di altri principi attivi diversi dai filtri e dagli schermanti, e serve a favorire processi antiossidanti, promuovere la riparazione del DNA, possedere azione antinfiammatoria, ecc. Solo formulazioni che svolgano questa doppia azione di fotoprotezione e riparazione sono in grado di contrastare efficacemente le insidie dovute all’azione dell’esposoma sulla cute umana.

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Tag:, , , , Last modified: Giugno 28, 2024
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