Ripercorriamo la storia di un prezioso ingrediente utilizzato nelle formulazioni dermatologiche contro la secchezza cutanea
L’urea è tra le componenti fondamentali della pelle e per questo ha trovato un largo utilizzo da parte dell’industria specializzata in formulazioni dermatologiche. A renderla un ingrediente sicuro, oltre alla sua dermo cosmetico compatibilità, c’è anche la sua duttilità applicativa che cambia in base alle diverse concentrazioni scelte. L’uomo conosce l’urea, e il suo caratteristico odore, da sempre. L’urea, infatti, altro non è che il risultato finale del ciclo dell’azoto, che il nostro organismo sfrutta per eliminare le scorie. Viene infatti eliminata dai reni attraverso l’urina e in piccola parte col sudore, presentando il classico odore acre. Parlando della sua applicazione medica, la storia dell’urea è più antica di quanto possa immaginarsi. Le proprietà benefiche disinfettanti, emollienti e cicatrizzanti dell’urina per la cute umana sono infatti conosciute da millenni. Storicamente, però, la scoperta “chimica” della urea risale al lontano 1773, ma bisognerà attendere il 1828, perché il chimico tedesco Friederich Wohler, in collaborazione con Justus von Liebig, effettuasse la prima sintesi organica dell’urea. Si trattò di un risultato rivoluzionario, dalle grandi implicazioni e applicazioni non solo chimiche, in particolare nell’agricoltura, e mediche ma anche filosofiche e religiose. Con la sua scoperta, infatti, Wohler fu il primo a confutare le certezze della cosiddetta scuola del vitalismo, secondo cui i composti fondamentali della vita non potevano essere ricreati in laboratorio. L’utilizzo di prodotti dermatologici a base di urea risale invece al 1915 ma rimase, almeno all’inizio, una pratica di nicchia fino agli anni ’60 quando alcune ricerche dimostrarono l’esistenza di alcune molecole fondamentali per la cura dell’epidermide umana. Stiamo parlando delle componenti igroscopiche, così denominate per la loro capacità di trattenere l’acqua nello strato corneo, impedendo alla pelle di disidratarsi. In poche parole, vennero identificate alcune delle componenti essenziali di quello che oggi conosciamo come Fattore Naturale di Idratazione. È stato infatti dimostrato che la carenza di urea provocherebbe una perdita di circa il 25% dell’acqua cutanea e una riduzione di elasticità che arriverebbe al 66%. Insomma, senza l’urea la nostra cute apparirebbe come quella di una prugna secca, talmente rigida e statica da apparire scolpita nel legno. La scoperta del Fattore Naturale di Idratazione e i successivi studi che hanno approfondito il funzionamento dei suoi principali costituenti, hanno portato alla creazione di migliaia di prodotti dermatologici e dermocosmetici. E ancora una volta, è l’urea a essere protagonista della maggior parte di essi. Le preparazioni a base di urea in concentrazione del 2% fino al 10%, sono le più simili alla condizione fisiologica cutanea, e quindi sono capaci di ripristinare la corretta idratazione della pelle. A concentrazioni maggiori, invece l’urea può essere utilizzata per la sua capacità di denaturazione della cheratina, la proteina più presente nella composizione della pelle. Concentrazioni che vanno dal 10% al 50% di urea, assumono quindi capacità cheratolitiche e cheratoplastiche e, praticamente, agiscono sulla texture stessa della pelle andando a levigarla laddove vi sia ipercheratosi o un eccesso di squame, agendo come “ammorbidente” negli indurimenti cutanei. Queste evidenze hanno portato i dermatologi di tutto il mondo a sfruttare queste proprietà dose-dipendenti dell’urea in diverse condizioni cutanee. In particolare, l’utilizzo di concentrazioni fino al 10% sono ormai considerate prassi nel trattamento cosmetico della dermatite atopica, per alleviare i sintomi della secchezza cutanea diffusa dell’anziano o per trattare, come coadiuvante di formulazioni farmacologiche, l’eczema delle mani. In queste condizioni, infatti, la pelle diviene rigida e secca e applicando basse concentrazioni di urea se ne sfrutta la capacità di trattenere l’acqua per reidratare la pelle. Prodotti a percentuali di urea del 20-30%, invece, trovano un largo utilizzo nel trattamento di problematiche quali l’ittiosi volgare, la psoriasi lieve o la cheratosi pilare. Quest’ultima, lo ricordiamo, è dovuta a un’alterazione della cheratinizzazione a livello dei follicoli piliferi di guance e tempie, e compare indifferentemente in entrambi i sessi. Una malattia non grave, che sarebbe più preciso chiamare ipercheratosi infundinbulo follicolare, caratterizzata da un quadro che vede la pelle delle aree colpite, segnata da piccole e multiple papule di 1-2 mm, di diametro, secche e ruvide al tatto, di colore rossastro marrone chiaro, non dolenti né pruriginose, che ricordano la “pelle d’oca”, formate da piccoli puntini in corrispondenza dei follicoli piliferi che risultano ostruiti da tappi di cheratina. Il potere levigante dell’urea a concentrazioni moderate risulta essere in questi casi utilissimo per trattare il problema, restituendo alla pelle la sua naturale morbidezza. Infine, concentrazioni di urea al 40-50%, sono ormai considerate la terapia d’elezione per ridurre gli ispessimenti cutanei localizzati, come le callosità plantari o le verruche volgari, o per vari trattamenti di patologie ungueali, quando la cheratina è presente in eccesso. Bisogna però tener presente che l’utilizzo di prodotti ad alta concentrazione può anche danneggiare la pelle sana se utilizzati in maniera non accurata, ovvero se usati dove la cute non necessita di intervento o se applicati in quantità eccessiva. Tralasciando questi casi estremi, però, rimane il fatto che le formulazioni a base di questo principio attivo sono ben tollerate e sicure. L’importante è non eccedere nella quantità di prodotto da applicare, e conservare le confezioni dei prodotti lontano da fonti di calore poiché col calore l’urea può decomporsi liberando idrossido di ammonio, altamente irritante quando applicato sulla cute.