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Violenze e abusi pre-parto: il pericolo si cela nel reparto

Durante la gravidanza gli equilibri psicofisici delle neo mamme sono sempre più spesso violati nel reparto ostetrico

Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del portale
Unobravo

Il 3 maggio scorso è stata celebrata in Italia, la Giornata della Salute Mentale Materna. Tale ricorrenza ha suscitato in me una riflessione sulla cosiddetta violenza ostetrica: una forma di abuso subdola e spesso quasi legittimata, capace di avere gravi ripercussioni sulla salute fisica e psichica tanto della mamma quanto del bambino. Del resto un figlio è sano se anche la sua mamma sta bene. Ma di cosa si tratta? Sappiamo che l’arrivo di un figlio è un evento tanto gioioso quanto trasformativo per la donna che già dalla gravidanza si trova a vivere profondi stravolgimenti fisici e psicologici. Il periodo gravidico e postnatale rappresenta, quindi, nella maggior parte dei casi, un momento di grande fragilità emotiva. In questo frangente, è facile che si alternino sentimenti ambivalenti, momenti di felicità ma anche ansie e incertezze se non veri stati di paura. Sensazioni contrastanti che, se non elaborate nel modo corretto, possono divenire fattori di rischio per la salute mentale della donna e avere anche importanti implicazioni sulla coppia, sul feto e sull’intero sistema familiare. Oggi sappiamo, infatti, che esiste una stretta correlazione tra il benessere psicologico della madre e quello del bambino. Pertanto, solo proteggendo il benessere emotivo della donna è possibile tutelare e preservare quella del figlio. Recenti studi dimostrano, infatti, che stress prolungati in gravidanza e nel post parto possono alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno-fetali e avere conseguenze sia sulla condizione mentale della madre che sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale della nuova vita che ha in grembo. Anche il momento del parto risulta essere determinante. Un’esperienza negativa può, infatti, lasciare un segno profondo nel vissuto personale della neomamma oltre a favorire una depressione perinatale. Per questo è essenziale che sia garantito un livello appropriato di assistenza ostetrica e cure attente ai bisogni fisici e psichici della partoriente e del suo neonato. Ma affinché esso sia possibile, è fondamentale promuovere una cultura della nascita più consapevole, rispettosa e pensata per le esigenze di ciascuna donna. Infatti, se, da un lato, la medicalizzazione e i protocolli sanitari hanno contribuito a ridurre l’incidenza di complicanze, assolutamente auspicabile soprattutto in presenza di fattori di rischio, dall’altro, iscrivere il parto all’interno di una routine standardizzata rischia di svuotare un evento tanto straordinario della sua unicità. Ancora troppo spesso il parto è, infatti, gestito secondo un approccio seriale. La sua disumanizzazione è di frequente una diretta conseguenza della carenza di personale medico e infermieristico. Al loro ingresso nell’habitat ospedaliero, talvolta le donne smettono di essere considerate come individui e vengono sottoposte a procedure standard, a volte invasive, innecessarie o, persino, dannose. Quando si verificano situazioni al limite della violazione dei diritti umani, quali l’eccessiva medicalizzazione, la somministrazione di cure o farmaci senza un’adeguata informazione o l’assenza di rispetto per la persona e la sua volontà, si può parlare di violenza ostetrica. Secondo Save the Children, la violenza ostetrica, è “un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso”. La violenza ostetrica costituisce, quindi, una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e un grave rischio per l’integrità fisica e mentale della donna. Benché situazioni simili possano presentarsi durante tutto l’arco della vita femminile, è comprovato che esse si verifichino con maggior frequenza e intensità durante il percorso nascita, che riguarda le fasi della gravidanza, del parto e del puerperio. L’OMS ha stilato un documento ufficiale nel 2014 dal titolo “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”, volto a individuare tutti quegli atteggiamenti e condotte da considerarsi abusivi e potenzialmente traumatici. Il documento evidenzia anche come siano le donne più giovani, nubili, affette da HIV o appartenenti a contesti socioeconomici svantaggiati a vivere più spesso questo genere di esperienze all’interno delle strutture ospedaliere. Tra le pratiche su cui l’OMS mette in guardia: abusi fisici e verbali, umiliazione, procedure mediche non autorizzate o coercitive, mancanza di riservatezza o violazione della privacy, rifiuto di offrire terapie per il dolore e qualsiasi forma di trascuratezza nell’assistenza al parto o negligenza che potrebbe mettere in pericolo la salute fisica e mentale della donna stessa. Nel 2019, la violenza ostetrica è stata scelta da Dubravka Šimonovic, relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne, come tema dell’anno. Il rapporto redatto dalla Šimonovic, a cui hanno contribuito oltre 120 Paesi, rappresenta a oggi il documento più approfondito ed esaustivo sull’argomento, inoltre inquadra per la prima volta il fenomeno nell’ambito della violenza di genere. IL rapporto sostiene che la violenza ostetrica si baserebbe su degli stereotipi di genere che portano a non prendere seriamente le donne, al punto da escluderle persino dal processo decisionale che riguarda il loro corpo e il momento del parto. Un retaggio culturale che può portare il personale sanitario a praticare interventi invasivi e spesso non necessari sulla madre, senza neanche che le venga chiesta l’autorizzazione. Da pochi anni, in Italia, le madri hanno iniziato a far sentire la propria voce. A portare per la prima volta il tema all’attenzione del pubblico è stata la campagna social del 2016 #BastaTacere le madri hanno voce. Per due settimane, le donne sono state invitate a raccontare la propria esperienza di parto su un foglio bianco, per poi fotografarlo e postarlo sulla pagina della campagna. Con migliaia di testimonianze, l’iniziativa ha fatto sì che anche in Italia si levasse un coro di voci sul tema. Sulla scia è poi nato OVOItalia, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, un organismo della società civile, gestito da madri, che porta avanti importanti attività di ricerca, raccolta dati e divulgazione sull’argomento. Nel 2017, l’associazione ha commissionato un’indagine a Doxa che potesse restituire un quadro esaustivo sulla violenza ostetrica nel nostro Paese. Lo studio ha coinvolto un campione di circa 5 milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54 anni d’età, con almeno un figlio fino a 14 anni. Gli esiti del sondaggio, pubblicati in un articolo dell’European Journal of Obstetrics & Gynecology, hanno portato alla luce una fotografia allarmante: il 21% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito abusi o violenze nel corso del parto; oltre 4 su 10 sono state vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica; il 54% delle partorienti ha subito un’episiotomia, operazione molto invasiva e sconsigliata anche dall’OMS in quanto dannosa e lesiva, a cui il 61% ha dichiarato di non aver mai dato il proprio consenso informato. L’episiotomia, che prevede il taglio chirurgico di vagina e perineo, può avere serissime conseguenze sulla sessualità e sulla salute mentale della donna. Sempre secondo lo studio, il 6% delle intervistate ha detto di non volere più figli e di aver rinunciato a una seconda gravidanza a causa dell’esperienza vissuta. Altre donne, invece, dopo aver esperito un parto cruento, hanno lamentato difficoltà ad allattare. Ma la violenza ostetrica è anche lasciare le donne sole fin dai primi momenti dopo il parto, senza che nessuno verifichi regolarmente le loro condizioni di salute fisica o psicologica e quelle del neonato. Il caso della solitudine delle donne nella fase del parto e del post partum è un problema molto diffuso, come confermato anche da recenti studi scientifici, tra cui quello condotto dall’Istituto Burlo Garofalo di Trieste, Centro Collaboratore OMS per la Salute Materno Infantile. Dal sondaggio, che ha preso in esame un campione di quasi 5 mila donne che hanno dato alla luce un figlio tra marzo 2020 a febbraio 2021, i mesi più duri della pandemia, è emerso che: il 78,4% non ha potuto ricevere assistenza dal partner, il 39,2% non si è sentita completamente coinvolta nelle scelte mediche, il 24,8% non si è sempre sentita trattata con dignità, mentre il 12,7% ha detto addirittura di aver subito abusi. Eppure, secondo l’OMS, l’assistenza durante le fasi finali della gravidanza e i primi giorni di vita del bambino è fondamentale. Purtroppo, la realtà ci consegna invece tante, tantissime storie di solitudine, abbandono e sofferenza. Ne è un esempio quanto successo all’Ospedale Pertini di Roma, dove un neonato è recentemente morto soffocato tra le braccia della sua mamma che, rimasta sola dopo 17 ore di travaglio, si è addormentata mentre lo stava allattando. In seguito all’accaduto, MamaChat, il primo ente europeo per le richieste d’aiuto via chat dedicato alle vittime di violenza, ha indetto una petizione sulla piattaforma Change.org al fine di garantire l’accesso H24 agli accompagnatori durante il parto e per tutto il periodo di degenza ospedaliera della mamma e del bambino. Aprire le porte dei reparti ai partner e ai familiari è, però, solo un primo passo. La solitudine non è soltanto quella che si prova subito dopo aver dato alla luce un figlio, ma anche quella che si conosce successivamente al rientro a casa.

Violenza ostetrica: quali sono le conseguenze per mamma e bambino?

Nelle settimane successive al parto, fino all’85% delle mamme esperisce una forma leggera e temporanea di depressione ansiosa chiamata maternity blues. Altre conoscono, invece, una vera depressione post partum, una condizione più grave, ma meno frequente, sebbene possa arrivare a interessare fino a 1 donna su 5. Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno rilevato una stretta correlazione tra gli episodi di violenza ostetrica e il manifestarsi della depressione post partum. In primis, è stato osservato come il benessere psicologico della donna successivamente al parto sia profondamente influenzato dalle condizioni in cui è avvenuto il parto stesso e dalla qualità del supporto ricevuto dal personale ospedaliero e familiare. La violenza ostetrica espone le donne a molteplici fattori di rischio. Infatti, un parto difficoltoso o cruento può avere moltissime conseguenze sulla salute psicofisica della madre, con ripercussioni anche sul benessere del bambino. L’aver sofferto un trauma in un momento tanto unico, delicato e carico di aspettative può aumentare esponenzialmente le possibilità di sviluppare una depressione post partum o portare all’insorgenza di un disturbo post traumatico da stress. Potrebbero, inoltre, verificarsi manifestazioni di ansia e panico o condotte disfunzionali. Il trauma può anche aggravare condizioni preesistenti o agire da fattore scatenante di disturbi quali anoressia, bipolarismo, disturbo ossessivo-compulsivo e abuso di sostanze. È, inoltre, molto comune che le donne vittime di episodi di violenza ostetrica maturino sentimenti di rabbia, svalutazione e autocolpevolizzazione per aver subito impotenti e non essere riuscite a tutelare i propri diritti e quelli del loro bambino. Nei casi più gravi, l’instabilità psichica ed emotiva causata dal trauma, potrebbe persino inficiare le capacità della donna di prendersi cura del neonato e compromettere la creazione di una relazione empatica tra madre e figlio. Infine, non è raro che nelle donne possa svilupparsi un senso di rifiuto verso la maternità al punto da portare alcune di loro a negarsi la possibilità di avere altri figli. (Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris).

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Tag:, , Last modified: Giugno 30, 2023
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