Funzionale o cronica, la stitichezza può affliggere il bambino sin dai primi mesi di vita…
La regolarità intestinale dei figli, qualitativa e quantitativa, è una delle preoccupazioni principali dei neogenitori che inevitabilmente la riversano sul proprio pediatra di fiducia. In particolare, la stipsi che è un disturbo molto frequente in età pediatrica, secondo alcune indagini sarebbe la causa del 3% delle visite ambulatoriali di pediatria generale e di circa il 25% delle visite specialistiche di gastroenterologia e chirurgia pediatrica. Il tema assume una tale rilevanza da diventare un comune argomento di discussione con altre coppie, parenti e amici. Qui nasce il primo dovuto chiarimento che il pediatra è tenuto a dare ai genitori che spesso valutano la stipsi in base alla frequenza delle scariche, mentre clinicamente con questo termine andrebbe definita una evacuazione difficoltosa o dolorosa di feci di consistenza aumentata. Qualsiasi intervento, quindi, non dovrebbe avere come obiettivo provocare evacuazioni più frequenti, ma consentire che la defecazione cessi di essere un problema per il bambino e per la sua famiglia. Peraltro, l’insistenza con cui s’interroga i bambini riguardo alla loro “cacca”, oltre che imbarazzante, può determinare un’ossessione e finanche uno scoglio psicologico, specie se i genitori accentuando la loro ansia, tendono a ignorare questo disagio psicologico infantile. Molti, magari alle prime armi, non riescono a spiegarsi che tale pratica fisiologica possa avere un andamento variabile, spesso imprevedibile, e diventare financo dolorosa quando si manifesta come stitichezza. Diventa compito del pediatra, allora, fornire una serie di informazioni che possano tranquillizzarli, oppure metterli in condizione di capire che qualcosa non va. Il primo obiettivo consiste nella necessità di ottenere il rammollimento delle feci, perché è il dolore alla defecazione l’origine del circolo vizioso che ne provoca la ritenzione quando sono dure e causano dolore, e ciò è alla base del cronicizzarsi della stipsi infantile. Solo favorendo l’evacuazione regolare di feci morbide si riesce a far dimenticare al bambino la sensazione dolorosa e soprattutto la paura della defecazione. Mediamente un neonato si libera dalle 3 alle 4 volte al giorno e, quando viene allattato al petto della madre, le scariche potranno essere anche pari al numero delle poppate (fino a 8-10 volte al giorno). Con la crescita e il passaggio a una dieta, prima semiliquida e poi solida, l’alvo inizia a regolarizzarsi e, fino ai 4 anni di età, solo se le evacuazioni in una settimana sono pari o inferiori a due va presa in considerazione l’eventualità di feci dalla consistenza dura o di grande diametro che fanno pensare a una condizione di stipsi funzionale. A prima vista, le cause di questa che è la tipologia di disturbo più frequente, possono essere difficili da individuare per i genitori, ma molto meno per lo specialista. Per effettuare una corretta diagnosi, vanno valutati fattori quali: l’età, le abitudini alimentari e soprattutto la dieta quotidiana del bambino. In genere, nella maggior parte dei casi il problema insorge durante il primo anno di vita, quando si passa dal latte materno, che ha proprietà lassative, a quello formulato o vaccino. Non solo, mentre l’allattamento al seno tende ad ammorbidire le feci rendendone più semplice l’espulsione per il neonato, i latti artificiali, specie le formulazioni più vecchie, possono renderle più dure e difficili da espellere. Nei lattanti attorno sesto mese di età, la dischezia, ossia la defecazione difficoltosa, può essere provocata anche dall’incapacità di controllare e coordinare i muscoli che servono per l’atto di espulsione. La manifestazione più eclatante di questo disturbo è data da urla di dolore, rossore in volto e ripetitivi tentativi a defecare. La dischezia nella stragrande maggioranza dei casi può essere dovuta all’assunzione di latte non appropriato e quindi non necessita di trattamento ma si risolve spontaneamente con l’aiuto del pediatra, mentre dopo il primo anno di vita, diventa particolarmente importante introdurre fibre alimentari nella dieta, evitando l’eccesso di carboidrati, e va garantita sempre una corretta idratazione. Tra le problematiche strettamente connesse alla difficile evacuazione, non va dimenticato che la durezza delle feci può essere anche causa di escoriazioni lungo le pareti anali, fissure o ragadi anali, che, provocando fuoriuscita di sangue possono generare il circolo vizioso, per cui al timore di sentire dolore si accompagna un rifiuto cosciente che rende ancor più difficoltoso il rilassamento necessario all’espulsione delle feci. Nei casi più rari, quando la durata del fenomeno si prolunga, talvolta anche fino a un mese, si parla di una stitichezza cronica nei cui riguardi può non bastare l’approccio di tipo dietetico o farmacologico ma è consigliabile un approccio multidisciplinare (pediatra, gastro-enterologo, dietista e psicologo) che coinvolga anche i genitori, i quali non solo vanno tranquillizzati ma soprattutto aiutati a comprendere se esistono, oltre a motivi medici e fisiologici anche possibili cause psicologiche e sociali. Quando il fenomeno è presente in vari componenti dello stesso nucleo familiare, anche la predisposizione genetica può giocare un ruolo di primaria importanza, e ciò spiega la concordanza del fenomeno nei gemelli. Un periodo particolarmente complicato si manifesta con il passaggio dal pannolone al vasino. In questi casi il bambino può provare vergogna, paura o ansia e starà ai genitori il compito di rendere la pratica il più naturale possibile, non arrabbiandosi e senza rimproverarlo per i tentativi non riusciti, e senza mai sgridarlo o punirlo quando si sporca. Anche l’inserimento in un nuovo asilo o i primi giorni di scuola possono rivelarsi particolarmente stressanti e non è raro che la ritenzione delle feci avvenga, anche occasionalmente, nel caso di un lungo viaggio o in situazioni di vita in comune con un gruppo di altre persone. In tutte queste situazioni il disturbo può essere affrontato stimolando la contrattilità intestinale ricorrendo ai lassativi propriamente detti, ma solo come estrema ratio, poiché il bambino non deve abituarsi a tale pratica. Lo stile di vita può assumere una certa rilevanza con il crescere dell’età del bambino, a partire da un’alimentazione scorretta, e dalla sedentarietà provocata dall’assenza di pratica sportiva e dall’uso quotidiano eccessivo di dispositivi audiovisivi in casa, dalla necessità di tante ore di studio dopo la scuola e da tutte quelle situazioni che sfavoriscono il movimento. In presenza del disturbo, ai genitori, va comunque richiesto di monitorare attentamente i figli onde ottenere importanti informazioni: quali la frequenza delle evacuazioni, la consistenza degli escrementi ed eventuali sintomi che possono essere associati alla stitichezza. Nel caso limite in cui si sia venuto a formare un fecaloma di dimensione esageratamente grande, e fosse talmente duro da non poter essere espulso, è necessario intervenire per rimuovere l’ingombro fecale in ampolla rettale. Per farlo, sono diverse le possibili strategie d’azione.
Le strategie d’azione
La più veloce ma anche impattante per il bambino prevede il ricorso ai cosiddetti rammollitori fecali che schematicamente, comprendono: gli Oli minerali e i Lassativi osmotici. L’olio minerale agisce più come lubrificante che come rammollitore, e presenta diversi elementi che ne limitano l’utilizzo pediatrico. Ingerito ha un gusto non proprio gradito al bambino; determina una possibile interferenza con l’assorbimento delle vitamine liposolubili; c’è il rischio di inalazione in caso di vomito che segue a un’assunzione forzata. Nei casi più lievi possono bastare anche una supposta di glicerina al giorno oppure un micro-clistere di soluzione fisiologica o agli oli minerali fino a ottenere un’abbondante evacuazione. Tra i Lassativi osmotici, in età pediatrica i più usati sono a base di lattulosio (fruttosio-ß-galattosio), di lattitolo (ß-galattosil-sorbitolo) o di polietilenglicole. I primi due sono disaccaridi non assorbibili, che richiamano acqua nel lume intestinale con meccanismo osmotico dopo essere stati fermentati dalla flora batterica intestinale. Per entrambi la fermentazione batterica induce un aumento del gas intestinale (soprattutto idrogeno e anidride carbonica, ma anche metano), il che li rende meno consigliabili nel lungo periodo. Altro aspetto da tener presente sono le modificazioni della flora intestinale, con la crescita di alcune specie batteriche che aumentano la concentrazione intestinale di alcuni metaboliti da essi prodotti. Il polietilenglicole (PEG), è un polimero dell’ossido di etilene, altamente solubile, chimicamente inerte, che non viene assorbito dall’intestino umano né degradato dagli enzimi digestivi e neppure fermentato dai batteri intestinali. Si distinguono diversi PEG in base al peso molecolare medio della miscela di molecole e da ciò dipende la variabilità della loro consistenza. I PEG usati a scopo lassativo sono solidi e hanno un p.m. superiore a 3000 e il loro meccanismo d’azione si basa sull’effetto osmotico: trattengono nel lume intestinale l’acqua che accompagna l’assunzione, ma non ne richiama altra dalla parete intestinale, cosa che potrebbe esporre i pazienti più piccoli al rischio di disidratazione. Per evitare una teorica induzione di squilibri elettrolitici le formulazioni contengono cautelativamente una aggiunta di sali di sodio e potassio, anche se ciò conferisce a questi prodotti un sapore un poco sgradevole. La sicurezza e il mantenimento dell’efficacia nel lungo periodo sono stati verificati in numerosi studi condotti sui bambini e sono stati osservati solo modesti e rari effetti indesiderati; tra questi, diarrea saltuaria (10%), flatulenza (6%) e dolore addominale (2%). Dopo i primi risultati, ottenibili in pochi giorni, è consigliabile un periodo di mantenimento, necessario per il consolidamento della defecazione regolare. In questa fase gli obiettivi sono, da una parte il ripristino della corretta elasticità della parete anale, dall’altra cancellare dalla memoria del bambino il ricordo delle evacuazioni dolorose.