La malattia ha un esordio molto precoce o in età preadolescenziale con manifestazioni diverse tra maschi e femmine
L’artrite psoriasica non è una patologia solo degli adulti, sebbene la fascia di età più colpita sia tra i 30 e i 50 anni. Può infatti insorgere anche tra i bambini e gli adolescenti prima dei 16 anni di età. La forma giovanile rientra nelle artriti idiopatiche (AIG), rappresentando (secondo il sito orpha.net, dedicato alle malattie rare) “meno del 10% di tutti i casi di AIG”. Si stima che colpisca circa 10 bambini su 33mila, con un’incidenza annuale di 1-20/1.000.000. L’insorgenza dell’artrite precede le manifestazioni cutanee psoriasiche in oltre il 60% dei casi, a volte già diversi anni prima, e di solito si presenta con un pattern di oligoartrite asimmetrica. Si tratta di una malattia infiammatoria immunomediata associata all’iperproduzione di citochine proinfiammatorie, in particolare il fattore di necrosi tumorale TNF-alfa. Come per gli adulti inizia con rigidità articolare cui si accompagna dolore, mentre le dita presentano il fenomeno della dattilite, ossia si gonfiano assumendo un aspetto a salsicciotto. Frequenti, tra i più giovani, le talloniti recidivanti o il dolore lombare notturno che migliora con il movimento. Pur non essendoci una particolare differenza nella diffusione tra maschi e femmine, vi è però una differenza nei due sessi per quel che concerne le manifestazioni che accompagnano la psoriasi. Nel genere femminile, con esordio a circa 6 anni, un’artrite simile a quella oligoarticolare, porta con sé il rischio di un’uveite nel 10-15% delle bambine, mentre nei maschi è più frequente un’artrite che somiglia a una spondiloartropatia, e l’esordio è più tardivo. L’osservazione e l’esame obiettivo effettuato da un professionista esperto si basano sul riscontro di una forma di artrite e di psoriasi oppure di una artrite associata a almeno uno dei seguenti segni: dattilite, fossette ungueali o onicolisi e storia familiare di psoriasi nei genitori o in un consanguineo di primo grado. I criteri di esclusione comprendono invece la presenza di artrite sistemica, la positività all’HLA B27 nei maschi con esordio dell’artrite dopo i 6 anni di vita; presenza del fattore reumatoide IgM in due campioni acquisiti a distanza di tre mesi; la presenza di spondiloartrite anchilosante, entesite e artrite, sacroileite con enteropatia infiammatoria o uveite anteriore acuta nei pazienti o nella storia familiare, oppure una di queste condizioni in un genitore o in un consanguineo di primo grado. La diagnosi differenziale, invece, si effettua con altre patologie che si accompagnano all’artrite (malattie emato-oncologiche, infiammatorie e infettive) e in particolare con quelle che si associano alle forme più comuni di artrite o alla psoriasi cutanea successiva all’artrite. Esempi specifici includono spondilite anchilosante, artrite reattiva, malattia infiammatoria intestinale, malattia di Behçet, malattia di Kawasaki, sarcoidosi, sindrome di Blau, lupus eritematoso sistemico, sindrome di Sweet e alcune infezioni come la malattia di Lyme o di Whipple. Come per le altre forme di Artriti Idiopatiche Giovanili, il trattamento dell’artrite psoriasica andrebbe affidato a centri specializzati, perché necessita di protocolli abbastanza complessi che comprendono agenti anti-infiammatori non-steroidei (Fans), associabili a iniezioni intraarticolari di corticoidi a azione ritardata (triamcinolone esacetonide), farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD; metotrexato) e DMARD biologici (agenti inibitori del TNF: etanercept o adalimumab). A seconda dei casi, la prognosi sembra essere simile a quella dei pazienti affetti da artrite oligoarticolare o artrite associata a un’infiammazione dell’entesi di un tendine o un legamento, ma gli studi sono ancora troppo limitati per esprimere un giudizio conclusivo. per esserne sicuri. Ciò che non va mai trascurato, durante il percorso di cure, è però l’aspetto legato alla socialità dei giovani pazienti e alle ripercussioni sulla loro sfera emotiva e psicologica. Quando il dolore è intenso e la rigidità sostenuta, può infatti essere molto difficile svolgere azioni semplici quali giocare, correre o compiere una normale attività fisica e ciò può suscitare emozioni negative nel bambino portandolo a isolarsi. Non solo. Il dolore può anche ripercuotersi sui normali cicli circadiani incidendo profondamente sulla qualità del sonno e sulla capacità di concentrazione per la conseguente stanchezza, Da non escludere possibili ripercussioni sul corretto sviluppo del sistema nervoso centrale. Anche per questo è sempre opportuno consigliare ai genitori di far seguire il bambino in centri specializzati che durante il percorso terapeutico possano offrire un approccio multidisciplinare nella gestione della malattia incluso un percorso riabilitativo che comprenda nuoto, aerobica, fisioterapia, in quanto agiscono positivamente sulle articolazioni e aumentano, al contempo, le possibilità di socializzazione. Fondamentale è la collaborazione fra la famiglia e i terapeuti che vanno subito allertati se l’umore del piccolo paziente muta, se cambiano le sue abitudini in negativo, se insomma vi sono le avvisaglie di un principio di depressione. Così come è estremamente importante che l’ansia di far sentire il bambino uguale a tutti gli altri non porti la mamma e il papà a spingerlo, di contro, a intraprendere sport non adatti, per esempio come quelli da contatto, che possono causare sovraffaticamenti e danneggiare le articolazioni.