Grandi scrittori si sono cimentati con la follia o condizioni presunte tali evidenziandone aspetti di umanità
della dott.ssa Gabriella La Rovere
Tre racconti sulla follia, tre modi di descrivere pensieri ed emozioni e che ci permettono di guardarla da diverse angolazioni. In “Memorie di un pazzo” di Gogol (1835), la prima domanda che sorge spontanea è: quali possono essere le memorie di un folle? Sono tali o frutto del delirio? Inutile sottolinearlo, nell’immaginario comune anche i malati di mente fanno parte della categoria dei diversi, di chi è altro rispetto allo standard. Ogni loro gesto e pensiero, viene interpretato alla luce della malattia, svilendo la loro essenza: quella di essere umano. Nella storia, Aksentij Ivanovic è un modesto impiegato addetto a fare la punta alle matite del mega-direttore-burocrate. Il servilismo che induce e consacra l’arroganza del potente non può non riportare alla mente la figura di Fantozzi, anche lui invisibile, ignorato, deriso dai colleghi e invaghito, senza speranza, della signorina Silvani che forse sa e fa finta di non capire, così come fa la figlia del burocrate russo con Aksentij. Nel racconto di Gogol il delirio viene innescato proprio dall’amore non corrisposto. Il protagonista pensa di poter ottenere tutte le informazioni sulla giovane donna, su quello che fa ma soprattutto su quello che pensa, dalla conversazione tra due cani, uno dei quali è Maggie, la cagnetta di lei. Era un po’ di tempo che sospettavo che il cane fosse molto più intelligente dell’uomo (…). Il cane è un osservatore straordinario: nota tutto, vede tutti i passi dell’uomo. Aksentij pensa di capire i messaggi che i due animali si scambiano, scoprendo la scarsa considerazione che tutti hanno di lui, a partire proprio dal suo cane (!) e così scopre le imminenti nozze della ragazza con un gentiluomo di camera, l’anonimo kamer-junker del racconto. L’amore non corrisposto e le emozioni suscitate da queste informazioni lo fanno sprofondare in un paradosso schizofrenico dal quale emerge come re di Spagna. In Spagna c’è un re. È stato trovato. Questo re sono io. (…) Non capisco come è stato possibile che io pensassi e mi immaginassi di essere un modesto impiegato. Come è potuto entrare nella mia testa un pensiero così strampalato? È una fortuna che nessuno abbia pensato di mettermi in manicomio. A questo punto comincia a firmarsi come “Ferdinando VIII” e trasforma la sua divisa da impiegato in un manto regale al punto di essere accompagnato nell’unico luogo possibile: il manicomio. Sono un uomo ridicolo. Adesso dicono che sono matto. Inizia così il racconto di Dostoevskij “Il sogno di un uomo ridicolo”, una narrazione in prima persona di un uomo che, giunto alla totale indifferenza per ciò che lo circonda, decide di suicidarsi. D’un tratto ho sentito che per me sarebbe stata assolutamente la stessa cosa, che il mondo esistesse oppure non ci fosse niente. Il giorno scelto per farla finita è anche quello in cui viene a conoscenza della Verità. Mentre rientra in casa, una bambina gli corre incontro chiedendogli aiuto per la madre ma lui, preso dal fatale proposito, la scaccia via. Sente però dentro di sé vergogna per il cattivo comportamento adottato, che sembra non far parte di lui, e pietà per la piccola. Sono sentimenti che contrastano con l’indifferenza che pensava di possedere. Si addormenta e sogna di uccidersi, sparandosi al cuore. Nel sogno, un angelo lo prende dalla tomba nella quale viene deposto e lo porta in un altro pianeta, esatta copia della Terra. Il pianeta che si trova a esplorare è un vero e proprio Eden dove esiste la felicità, frutto dell’incoscienza. Sui volti degli uomini che vi abitano brilla infatti un’allegria infantile, priva di sovrastrutture, una gioia che non chiede perché, che non vuole indagare oltre. L’arrivo dell’uomo, così come l’ingresso di un corpo estraneo in un organismo ben funzionante, provoca delle modificazioni tali da stravolgere le caratteristiche di quel pianeta che diventa proprio come la Terra. In quella società felice comincia a insinuarsi la menzogna e successivamente la lussuria, la gelosia, la crudeltà. La vergogna viene innalzata a virtù, nasce il concetto di onore e interesse, e il formarsi delle associazioni, cioè gruppi di persone sotto una stessa bandiera. Scomparsa la felicità, scoppiano le guerre e non rimane nulla della bellezza primigenia, e il pianeta diventa una stupida copia della Terra, dove l’illusione del sapere è più forte del sentimento. Ma la degenerazione a ogni livello, con un meccanismo folle e perverso, induce alla riflessione, cioè al desiderio di capire e interpretare il male, così che paradossalmente dalla cattiveria nasce l’idea di umanità e fratellanza, dalla crudeltà la giustizia. Al suo risveglio il protagonista decide di andare per il mondo a predicare la Verità, nella convinzione che il suo compito sia quello di aiutare l’Umanità a comprendere, ed è per questo che, alla fine, viene considerato pazzo, se non ridicolo. Oggi mi hanno portato a visitare alla direzione di governatorato. Hanno litigato e alla fine hanno deciso che non sono pazzo. È questo l’incipit di “Le memorie di un pazzo” (1884) di Tolstoj. Il protagonista è convinto di esserlo nonostante i pareri contrari e racconta alcuni episodi della sua infanzia che considera campanelli d’allarme della sua insanità mentale: lo spavento provato quando la bambinaia, che lui amava tanto, fu accusata di furto; la volta che aveva visto picchiare un bambino; il racconto della passione di Cristo fattogli da una zia. La pubertà con i primi turbamenti aveva allontanato il ricordo di questi episodi finché verso i 35 anni, in occasione di un viaggio, si verificò un attacco di panico. Tolstoj lo descrive magistralmente, alla luce di quanto oggi conosciamo delle fobie e delle psicosi. La paura della morte e dell’incognito è spesso il contenuto di un attacco di panico, con il cuore che batte all’impazzata e il corpo che quasi perde consistenza. In quel momento preghi Iddio di perdonare i tuoi peccati purché ti lasci vivere ancora. L’astenia reattiva non ferma la volontà di cambiare vita, ultima possibilità per averla integra. Spesso chi soffre di attacchi di panico diventa in breve tempo un cristiano fervente, un attento lettore delle Sacre Scritture, un seguace dell’esempio di Gesù. E infatti il racconto di Tolstoj termina con il protagonista che, all’uscita della chiesa, regala tutto quello che possiede a una mendicante e va via predicando bontà. Tre storie diverse, che aiutano a interrogarsi su perché anche buone intenzioni e manifestazioni di generosità possano essere interpretate per segni di una malattia mentale.