Un libro scritto da un pediatra e una pedagoga offre alcune soluzioni ai principali problemi quotidiani di mamma e papà
Capita frequentemente che una neomamma ricevacome regalo un libro in cui si spiega come prendersi cura del proprio neonato e come seguire nel miglior modo possibile la loro crescita. Non sempre a scrivere queste guide sono i pediatri, o altri specialisti titolati a dare risposte alla domanda che ogni genitore, presto o tardi, si porrà: come si fa ad essere una brava mamma o un bravo papà? Un quesito a cui spesso è difficile dare una risposta tant’è che le le conferme o i consigli si cercano un pò ovunque, sulle riviste o in internet, senza garanzie su una vera e sperimentata competenza. Non è raro, quindi, che il pediatra non abbia più come unico compito quello di prevenire o curare eventuali malattie dei bambini, ma quello ben più arduo di comprendere da dove nascano alcune convinzioni e atteggiamenti errati, correggendole e accompagnando i genitori nella gestione della quotidianietà, nello sviluppo della sfera relazionale-affettiva e offrendo pratiche educative che incideranno positivamente sullo sviluppo neurologico e sulla di salute fisica del bambino. Consigli, suggestioni, idee derivati dallo studio e dall’esperienza professionale, al servizio di chi affronta il “mestiere” di padre o madre. Giudicare in maniera negativa tutte le pubblicazioni che si rivolgono ai neo genitori sarebbe però un errore oltre che una superficiale genericizzazione. Molto valido, infatti, si rivela il “Manuale per genitori imperfetti” (Sperling&Kupfer con Uppa edizioni, 288 pagine, 19,90 euro) scritto a quattro mani dal pediatra Paolo Moretti e dalla pedagogista Annalisa Perino che nell’incipit rinunciano alla pretesa di consegnare ai genitori una sorta di guida infallibile per districarsi nelle insidie che comporta la crescita di un figlio. Al contrario, come afferma Annalisa Perino, l’obiettivo del libro è quello di “rassicurare i genitori, e accompagnarli in un percorso di crescita durante il quale non dovrebbero mai sentirsi inadeguati”. Il testo ribadisce l’importanza di costruire la propria genitorialità e la relazione con i figli attraverso l’esperienza e la sperimentazione, affidandosi alla “capacità istintuale di essere genitori, invece di affidarsi a regole più o meno imposte”. Uno dei temi che vengono affrontati dai due specialisti è tra i più dibattuti e motivo di confronto tra diverse generazioni di genitori, tra amici coetanei, ma anche tra gli stessi pediatri. Si tratta dell’alimentazione.
O meglio, del rapporto che il bambino o la bambina instaurano con il cibo e le sfide che esso comporta per l genitori. Su questo fronte, sono quasi immancabili le lotte fra genitori e figli, per questo il volume affronta diversi aspetti che possono provocare un atteggiamento positivo, o di rifiuto, nei confronti degli alimenti. Attraverso una serie di spiegazioni esaurienti,il libro offre risposte a domande frequenti dei genitori, sul perché mangiano poco o mangiano solo determinati cibi. Il primo tema affrontato è quello della selettività. Nel libro vengono spiegate diverse ragioni alla base di questa dinamica: può giocare un ruolo il contesto ambientale, ma anche il quadro genetico, così come la neofobia, ovvero quel comportamento fisiologico di rifiutare dei nuovi alimenti. La tendenza che gli autori registrano, in base alle loro esperienze e ai racconti dei genitori, è l’allontanamento dalla dieta dell’alimento rifiutato. La strada migliore che viene consigliata è quella di continuare a portare l’alimento in tavola e “attendere con pazienza che il bambino lo accetti”, perché “anche osservare gli altri mangiare un determinato cibo, in un clima sereno e senza forzature, aumenta l’accettazione verso quell’alimento”. Viene sottolineato, poi, di aver fiducia nella capacità del bambino di autoregolarsi, e la necessità di convincersi che il bambino può talvolta sentirsi sazio o non avere fame. Ci sono determinati alimenti, particolarmente “odiati” dai più piccoli, in particolare frutta e verdura e per tale ragione, viene suggerito che già in gravidanza e durante l’allattamento la mamma dovrebbe mangiare di tutto, seguendo una dieta completa che permette al bambino di conoscere i sapori, percependoli come familiari quando inizierà a mangiare. Un altro punto di indubbio interesse è l’analisi del rapporto fra quantità di cibo mangiato e la crescita. Su questo punto i due specialisti sono convinti che “le aspettative dei genitori su quanto debbano mangiare i bambini sono spesso sbagliate”. Infatti “si tende a stimare in eccesso sia la quantità di calorie da assumere, sia la velocità di crescita in peso e altezza in quel lungo periodo che va dalla fine del primo anno allo sviluppo puberale”. Per tale ragione il manuale consiglia di proporre sempre una dieta “varia e completa”, in modo da permettere al bambino o alla bambina di abituarsi ad auto-gestirsi nella quantità e nel tipo di cibo da assumere, intesa come giusta ripartizione delle varie categorie di sostanze nutrienti. L’altra grande problematica, soprattutto nei primi periodi, è il sonno. Spesso, padri e madri non sanno come affrontare questo aspetto, oppure, non capiscono come affrontare i cambiamenti nel bambino su questo tema. Al pediatra viene quindi chiesto: come funziona e cambia il sonno in un bambino? Il neonato – si sa – dorme quasi tutto il giorno e poi passa gradualmente, verso i sei mesi, a un ritmo che comprende un lungo periodo di veglia diurna e un sonno prevalentemente non-REM, durante il quale vengono prodotte importanti quantità di ormone della crescita. Nei mesi successivi, a partire grosso modo dall’ottavo mese, quando il bambino acquisisce la capacità di percepire gli altri da sé, e quindi a capire se i genitori sono presenti o meno nell’ambiente, si verificano i primi problemi, in caso di assenza della madre o del padre. Verso i dieci-dodici mesi inizia quella che si può chiamare la «finestra dell’addormentamento» a una età si comincia a intravedere, geneticamente diversa per ogni bambino. Un intervallo di tempo all’interno del quale è più facile che il bambino possa iniziare il sonno notturno. Progressivamente i periodi di veglia diurna si allungano finché, verso i cinque anni, il bambino passa da sveglio praticamente tutto il periodo di luce del giorno; a questo punto i risvegli notturni diventano pochi, molto brevi, e di essi il bambino, al pari degli adulti, non ha memoria al risveglio.
Riguardo alle fasi del sonno, mentre nel corso della crescita la durata complessiva del sonno REM resta invariata, quella del sonno lento va invece progressivamente riducendosi nel tempo. Ma se dorme poco o fa fatica ad addormentarsi, il volume consiglia la somministrazione di melatonina. Proprio perché l’insonnia “è un sintomo, e non una diagnosi di malattia”. Per questo viene sconsigliato l’uso di farmaci. In primo luogo, perché non ne esistono di approvati per essere somministrati a bambini sani e, in secondo luogo, perché questi potrebbero generare problemi a distanza di tempo. Nel manuale vengono quindi evidenziate due pratiche spesso dibattute: il co-sleeping e il bed-sharing. Nel primo caso il bambino dorme nella stessa stanza dei genitori, mentre nel secondo condivide il letto. Luce verde per il co-sleeping perché la vicinanza del bambino con la mamma lo induce a piangere di meno e anche a liberare sostanze come l’ossitocina, che ha un effetto rilassante e calmante. Inoltre, si sottolinea come questa pratica abbia anche una funzione bidirezionale: mamma e bambino si influenzano in maniera benefica abbassando reciprocamente i livelli di stress. A sostegno di questa tesi, i due autori evidenziano anche gli studi che sconsigliano il co-sleeping, come quello della American Academy of Pediatrics, che suggerisce di utilizzare il co-sleeping, per i suoi benefici ma non oltre un anno di vita. Per quanto riguarda il bed-sharing, va detto che è una pratica piuttosto diffusa: circa il 20-25% delle famiglie con bambini da zero a 2 anni sono abituati a condividere il letto. L’American Academy of Pediatrics, tuttavia, sconsiglia questa pratica poiché aumenta il rischio di morte del bambino per soffocamento. Inoltre il bed-sharing, compromette l’intimità della coppia e rischia di creare un motivo di disagio nell’equilibrio familiare. Fra i tanti e interessanti temi che il manuale affronta perché pare raccogliere le preoccupazioni della maggior parte dei genitori, è quello del linguaggio. Nel libro si fa riferimento a una storia ipotetica in cui, un genitore, durante una festa, si rende conto che suo figlio di due anni, Mario, ha capacità di linguaggio limitate rispetto agli altri. Sebbene sia una storia fittizia, queste comparazioni vengono fatte spesso e sottoposte anche al proprio pediatra o logopedista. Gli autori definiscono “parlatori tardivi” quei bambini che “a due anni usano per esprimersi un vocabolario inferiore alle cinquanta parole”. Assicurando che un piccolo ritardo può essere sempre recuperato. Nei bambini che manifestano un eventuale ritardo è possibile percepire dei “segnali di maggiore o minore rischio di evoluzione verso un disturbo del linguaggio vero e proprio”. Un contributo positivo per stimolare il proprio figlio è quello di accompagnare insieme all’introduzione di nuove parole l’uso del linguaggio dei gesti. Il rischio di un disturbo persistente – affermano gli autori – aumenta “invece nel sesso maschile, in presenza di altri casi di disturbo del linguaggio in famiglia e in presenza di un ritardo di sviluppo delle tappe motorie”. In questa recensione abbiamo voluto segnalare solo alcuni dei quesiti affrontati nel Manuale per genitori imperfetti. Le dinamiche nella relazione genitore-figlio – come ben sanno i pediatri – sono molte e diverse ove si riesca a stabilire un rapporto caratterizzato dall’ascolto e dallo scambio reciproco. L’approccio consigliato, pertanto, è di fornire sin da subito risposte alle domande dei figli, alla loro curiosità e anche alle necessità, soprattutto quando è molto piccolo e non ha la possibilità di esprimersi mediante il linguaggio verbale. è un investimento per quando sarà più grande, pèerché la comunicazione continua tende a rafforzare il legame parenterale. Come già scritto al principio, non c’è libroche possa dare risposte valide per tutti i genitori. Non esiste una sorta bibbia dei comportamenti da adottare, ma ci sono fonti sicure – i pediatri sono una di queste – che possono fornire approcci e visioni cui ispirarsi, in base alle problematiche sorte durante la crescita del bambino. E manuali seri da leggere e consigliare.