La difficoltà a stabilire con precisione quali siano i valori pressori preoccupanti non aiuta la presa in carica
S i è abituati a pensare all’ipertensione arteriosa come a una malattia degli adulti. Invece questo problema può registrarsi anche in età pediatrica e il fenomeno è sicuramente in crescita, probabilmente a causa dell’aumento dell’uso di cibi precucinati e del consumo di pasti fuori casa, della frequentazione dei fast-food e per la facilità con cui bambini e famiglie comprano merendine e dolcetti dai distributori automatici. I prodotti industriali e trasformati sono la principale fonte di sale nell’alimentazione abituale dei bambini, e parliamo principalmente di pane e prodotti da forno (biscotti, crackers, grissini, ma anche merendine, cornetti e cereali da prima colazione). I genitori non sono a conoscenza del loro contenuto in sale, che è molto più alto di quanto si pensi, con un apporto totale settimanale più elevato rispetto, per esempio, ai salumi, ai formaggi o alle patatine fritte che, pur contenendone di più sono consumati in misura minore. Non è un caso, allora, che gli anglosassoni abbiano coniato un aggettivo per i prodotti industriali e artificiali, chiamati comunemente junk food, ovvero cibo spazzatura, e che li considerino fra le cause principali di quella che sta assumendo la configurazione di un’epidemia di ipertensione infantile, un fenomeno che purtroppo viene sovente sottovalutato. Per porre una diagnosi di ipertensione primitiva è necessario escludere la presenza di una forma secondarie, mentre esistono fattori di rischio che non vanno sottovalutati: sovrappeso o obesità infantile; basso peso alla nascita; familiarità positiva per ipertensione arteriosa. La diagnosi però non è semplice e sempre sicura. Il motivo di ciò risiede in un problema non ancora risolto. Nell’età evolutiva non ci sono, come accade per l’adulto, valori per la pressione arteriosa che possano rappresentare un riferimento assoluto per tutta la popolazione pediatrica. Si utilizzano invece alcune tabelle dei percentili della pressione sanguigna da rapportare al centile dell’altezza, all’età e al genere. Tramite questi percentili si può solo tracciare l’andamento della pressione nel tempo rapportandolo a tutti i bambini che hanno le stesse misure. In età pediatrica la diagnosi di ipertensione arteriosa si completa pertanto sulla base di ripetute rilevazioni che risultino superiori ai valori di riferimento. Ne deriva che l’ipertensione è definita come media della pressione sistolica o diastolica, superiore o uguale al 95° percentile per l’età, il sesso e l’altezza in almeno tre differenti controlli. Succede però che poichè l’intervallo di normalità della pressione è in funzione non solo dell’età ma anche della posizione sulla curva di crescita, possa capitare in bambini della stessa età, che valori identici di pressione vengano considerati normali o eccessivi a seconda dell’altezza e della crescita del bambino. A mò di esempio e in termini genrali, un bambino di 7 anni che mostra un’altezza sul 75° centile, possiede valori pressori di 105/70 ritenuti normali; una bambina di 7 anni, con un’altezza al 50° centile, in cui vengano registrati valori pressori pari a 115/70 può invece essere considerata a rischio di ipertensione, mentre una bambina di 8 anni, appartenente al 25° centile di altezza e con valori pressori di circa 115/70 va diagnosticata come affetta da uno stato ipertensivo. Secondo le Raccomandazioni della Società Italiana di Pediatria e della Società Italiana della Ipertensione Arteriosa, sia in caso di bambini con ipertensione o pressione normale alta, ma anche con valori di pressione transitoriamente elevati o con familiarità per ipertensione, il primo approccio suggerito è non farmacologico, fondato su un corretto stile alimentare e una terapia dietetico-comportamentale che dovrebbero essere mantenute anche si decidesse di ricorrere a una terapia farmacologica. I punti cardine di un trattamento dietetico-comportamentale gestibile con semplicità anche dai genitori con supervisione del pediatra sono la riduzione dell’eventuale eccesso ponderale, l’attività fisica e all’aria aperta, la riduzione dell’apporto di sodio. Di fatto, è opinione dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri che sulle tavole degli italiani si consumi troppo sale. Si calcola che nove persone su dieci introducano ogni giorno in media 10 grammi di sale, il doppio della quantità giornaliera raccomandata dall’Oms che è di 5 grammi. In uno studio promosso dall’Istituto Nazionale della Sanità francese, qualche anno fa si denunciava che in una miriade di prodotti presenti quotidianamente sulle nostre tavole c’è sale aggiunto, in quantità eccessive tanto da intossicare il nostro organismo. Pierre Meneton il ricercatore dell’Inserm che ha condotto questa indagine ha scoperto che attraverso l’alimentazione e il consumo di prodotti industriali arriviamo ad ingerire 4 chili di cloruro di sodio all’anno che è il doppio della quantità fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In molti casi sull’etichetta non viene indicata la quantità reale di sale ma ci si limita solo a indicare la presenza di sodio. Una precisazione: comunemente i termini sale e sodio sono usati come sinonimi, ma è utile precisare che il sale è composto dal 40% di sodio (Na+) e dal 60% di cloro (Cl-), e che quindi un grammo di sodio è equivalente a 2,55 g di sale. In una tazza di cereali, quelli che al mattino vengono tranquillamente offerti ai bambini per la prima colazione, è contenuto tanto sale quanto quello presente in un bicchier d’acqua di mare. Sale nascosto, nelle zuppe, nei biscotti, nelle bibite a base di soda, nel pane, nei piatti pronti. Pochi sono a conoscenza del motivo perché si aggiunge il sale: nella catena del freddo il sale serve per conservare gli alimenti ma grazie alla sua capacità di trattenere l’acqua il cloruro di sodio aumenta artificialmente il peso di molti alimenti e quindi anche il loro prezzo al chilo. E ancora il sale è un esaltatore di sapori ma li nasconde anche, soprattutto quando il prodotto è di bassa qualità. Nelle etichette si possono trovare diversi ingredienti che indicano la presenza del sale: sodio (o Na), cloruro di sodio, bicarbonato di sodio, fosfato monosodico, glutammato monosodico, benzoato di sodio, citrato di sodio e non è raro che per motivi di marketing ci sia scritto senza Glutammato di Sodio o prodotto a basso contenuto di sodio, ma che presentino altre fonti di sale. Per legge gli ingredienti presenti in maggior quantità vanno scritti per primi e quelli presenti in minor quantità per ultimi. Paradossalmente, però, ai genitori fa piacere sapere che il sale aumenta l’appetito e ciò spiega perché se si accorgono che i figli preferiscono più cibi salati tendano a proporre nel piatto o a merenda prodotti salati. Un comportamento innocente ma che come conseguenza grave e dannosa può provocare un involontario aumento della pressione arteriosa e del peso. Inoltre, poiché più si mangia salato più si beve, si abusa anche di bevande gassate e, a loro volta, ricche di zuccheri e altri sali. Ma quali possono essere i danni futuri per i bambini che nell’età pediatrica mostrano una tendenza a sviluppare l’ipertensione arteriosa? Probabilmente saranno più soggetti a ipertensione e ipertrofie del ventricolo cardiaco sinistro, a infarto e ictus, forse anche più dei fumatori e degli individui in sovrappeso. Inoltre è confermato scientificamente che negli ipertesi è favorita l’insorgenza dell’osteoporosi. In molti temono che la riduzione del sale nei cibi possa determinare un loro gusto inferiore. A questa obiezione rispondono molti chef stellati per i quali basta riscoprire l’uso delle piante aromatiche perchè, non solo insaporiscono i cibi ma hanno anche importanti proprietà diuretiche e stimolano al meglio la digestione. La regola generale è che non bisognerebbe aggiungere sale nelle pappe dei bambini, almeno per tutto il primo anno di vita e per insaporire le pietanze si può ricorrere a un cucchiaino di parmigiano grattugiato al giorno. Meglio gli alimenti freschi e, quando sono disponibili, prodotti a basso contenuto di sale. Non è sbagliato infine suggerire ai genitori di proporre ai figli alcuni giochi che hanno a che fare con l’educazione al gusto, facendosi aiutare, per esempio, a cucinare delle ricette saporite, con l’aggiunta di erbe e aromi, e migliorando le loro conoscenze sui sapori fondamentali, ovvero il salato, l’aspro , il dolce e l’amaro. La loro combinazione può esaltarli o riuscire ad annullarli gli uni con gli altri. L’amaro è rinforzato dal salato e dall’aspro, mentre è equilibrato dal dolce. Il dolce, evidentemente è equilibrato dall’amaro, ma è contrastato dall’aspro e dall’amaro. Se una pietanza è troppo salata basta aggiungere un pò di zucchero, mentre se è insipida basterà aggiungere un ingrediente amaro o aspro. Infine, per rinforzare l’aspro si ricorre all’amaro e al salato, per ridurlo al dolce.