Per molto tempo si è cercato di trovare una affinità tra colore e forma delle piante e le loro doti curative
della Dott.ssa Gabriella La Rovere
La “segnatura”nasce come filosofia spirituale secondo la quale Dio ha posto un segno su molte piante che per questo possono servire a curare le malattie. Con uno sguardo all’astronomia. Considerata una superstizione dalla medicina scientifica, nella storia rappresenta un importante aspetto del pensare medico a partire dalla metà del Seicento fino alla fine del XIX secolo. Allusioni alla segnatura sono presenti in alcuni scritti di Galeno, ma è solo con la pubblicazione del libro di Jacob Boehme Signatura Rerum che la filosofia prese forma. Jacob Boehme non era un uomo colto: faceva il calzolaio e viveva a Goerlitz, in Germania. Si racconta che venne preso da una sorta di illuminazione e espose le sue idee nel libro “Aurora”, pubblicato nel 1612.
Come risposta, venne dapprima allontanato dalla sua città per poi esserne riaccolto a patto che non scrivesse altri libri. è inutile dire che Jacob non fu in grado di mantenere la promessa: si trasferì perciò a Praga dove morì nel 1624, dopo aver pubblicato altri due libri sull’argomento e diversi trattati. La prima persona che guardò alle teorie di Boehme come qualcosa di diverso dalla semplice meditazione spirituale fu Paracelso. Questi, considerato il padre della chimica, si adoperò molto affinchè la dottrina della segnatura avesse un’impronta medico-scientifica. In parole povere, questa dottrina si basa sulla convinzione che tutto ciò che è presente in natura sia a uso e consumo dell’uomo e, per farne capire l’utilizzo, il Creatore pose uno specifico segno su ogni pianta. In un periodo in cui gran parte delle persone erano analfabete, è possibile che la dottrina fosse utile come aiuto mnemonico per il neofita che imparava mediante la semplice osservazione. Ecco alcuni esempi dedotti da libri dell’epoca. William Coles così scriveva dell’acqua distillata di biancospino: “(…) si è scoperto che bagnando delle compresse di garza in detta acqua e applicandole nei punti in cui sono penetrate delle spine, queste fuoriescono; si può affermare che la spina dà il rimedio alla sua stessa puntura”. In questo caso la segnatura è proprio nella spina. Piante con fiori gialli, come la calendula, servivano a curare l’ittero mediante la segnatura del colore, mentre le piante rosse venivano usate per le malattie del sangue. John Gerard nel suo Erbario consigliava di mettere le foglie, i fiori e i semi di iperico a macerare in un bicchiere con olio d’oliva, posto poi in un luogo caldo e assolato. Dopo qualche settimana il liquido veniva filtrato e nuovamente posto al sole; se ne otteneva un olio di colore del sangue che veniva usato per le ferite profonde. Questo è un caso in cui la dottrina della segnatura presupponeva anche una fase di preparazione. I petali dell’iris erano comunemente usati come poltiglia in caso di contusioni (altro esempio di segnatura del colore).
Oltre alla segnatura del colore c’è anche quella della forma, per cui se una parte della pianta riproduceva la forma di un organo o di una parte del corpo umano, poteva essere usata per curarne le patologie. I frutti della Portulaca venivano usati per curare le patologie dei reni proprio perché hanno una forma che assomiglia a questi organi. L’equiseto, o coda cavallina, veniva impiegato per la cura delle malattie originanti dalla colonna vertebrale ed è facile immaginarlo vista l’enorme somiglianza con la spina dorsale. Altro esempio, un pò contraddittorio, quello dell’iperico, usato per curare le patologie cutanee perché le tasche lisigene che caratterizzano le foglie di questa pianta, assomigliano a delle bolle. La contraddizione risiede nella possibilità di comparsa di discromie cutanee, dopo esposizione solare, nelle persone che usano questa pianta come antidepressivo. Culpeper, erborista inglese del Seicento, sviluppò una versione scientifica della dottrina della segnatura in contrapposizione allo stile più popolare propugnato da Coles. C’è da dire che le due idee non erano molto dissimili tra loro così come la valutazione dell’uso delle piante: il motivo della diatriba dialettica riguardava solo il mezzo per arrivarci. Culpeper era un aristocratico e come tale frequentò l’università di Cambridge; qui si innamorò e progettò una fuga d’amore, ma il destino volle che la sua fidanzata morisse fulminata da un lampo che colpì la sua carrozza mentre si recava all’appuntamento segreto. Sconvolto dal dolore, Culpeper lasciò Cambridge e divenne apprendista presso una farmacia. A quell’epoca tale scelta rappresentava una degradazione sociale soprattutto per chi aveva frequentato quella prestigiosa Università. Ma egli reputava offensivo che il Collegio dei Medici, di composizione monarchica, ignorasse i bisogni sanitari del popolo e così nel 1649 tradusse in inglese il manuale latino del Collegio dei Medici. Ciò permise ai farmacisti e a tutti gli altri di avere accesso alle formule che costituivano il patrimonio delle arti mediche del XVII secolo. Tale audacia però gli costò l’odio di tutta la classe medica anche dopo la sua morte.