Avere una figlia con una malattia rara significa convivere con un dolore sordo, costante, ed esserne anche il medico carica tutto di lacerante consapevolezza, di pesanti responsabilità. La sclerosi tuberosa è una malattia bastarda nella quale le formazioni tumorali (di solito benigne, ma non è detto!) interessano tanti organi danneggiandone la funzione. Ed ecco perciò l’epilessia non controllata dai farmaci, il ritardo mentale, l’autismo, la lenta evoluzione verso l’insufficienza renale, il possibile interessamento polmonare, cardiaco, e così via. Mia figlia ha anche un aneurisma del sifone carotideo sinistro, una complicanza ancora più rara all’interno della sua straziante rarità, che le conferisce l’onore (!) di essere il 19esimo caso al mondo. La scelta di cosa fare è spettata a me, e mentre la parte materna urlava il suo dolore contro il Cielo, quella professionale valutava i pro e i contro di un intervento chirurgico rischioso che poteva portare a conseguenze ancora più gravi, considerava la paziente nella sua particolare unicità e optava verso una vita piena, degna di essere vissuta per tutto il tempo che le sarebbe stato concesso. Pensavo che tutto questo fosse più che sufficiente, invece la vita mi ha posto davanti un altro mostro contro il quale è difficile, quasi impossibile combattere: la schizofrenia e l’evoluzione psicotica grave che trasforma mia figlia in un essere rabbioso, con occhi e voce diversi, e che nel novembre 2019 ha tentato più volte di aggredirmi, fino a riuscirci. La nostra vita è cambiata, i momenti di serenità sono pochissimi perché vivo nella paura della sua perdita di controllo a ogni minimo imprevisto. L’interessamento ingravescente cerebrale l’ha resa molto incerta nel camminare e a tutt’oggi non sono sicura che non possa perdere la coordinazione motoria portandola all’uso della sedia a rotelle. È indubbio che le nostre esistenze debbano dividersi ed è qui che inizia un’altra brutta storia, fatta di omissioni e “leggerezze”. Attualmente, quando una persona autistica diventa maggiorenne, passa in carico al Centro di Salute Mentale (CSM) del proprio territorio (nel nostro caso l’ASL di Perugia) che, il più delle volte, non ha la giusta competenza per affrontarne il complesso mondo, riducendo il tutto a carichi di farmaci, spesso in grado di innescare effetti paradossi, cioè di agitare ancora di più. Nonostante ripetute segnalazioni – le mie e quelle di due operatrici di una cooperativa che collabora con il distretto sanitario, una delle quali aggredita fisicamente – da più di un anno il CSM è inadempiente nell’autorizzare l’inserimento di mia figlia in una residenza sanitaria umbra (per altro pronta ad accoglierla), perché questo è il luogo idoneo per una persona con sclerosi tuberosa e aneurisma cerebrale, che necessita di supervisione medica costante, quale quella che io ho fatto in questi 30 anni di vita. È impensabile che si possa preferire una residenza socio-assistenziale, per altro suggerita da assistenti sociali, perché costa di meno. Un tale assioma smantella ogni principio medico etico e ogni principio costituzionale. Una sanità che, in condizioni di innegabile gravità clinica, opta per il risparmio deve prendersi tutte le responsabilità morali, sociali e penali del caso. (Gabriella La Rovere)
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