La pandemia ha accentuato le difficoltà adolescenziali tra cui alcune legate a una cattiva gestione del cibo
Negli ultimi due anni la pandemia da Covid-19 ha occupato totalmente la scena mediatica. D’un tratto le altre patologie sono passate quasi in secondo piano mentre si è assistito a un acuirsi delle problematiche psicologiche causate proprio dal contesto emergenziale. “I disagi dei più giovani non sono nati con il Covid ma la pandemia li ha fatti esplodere”, spiega Stefano Vicari, primario del reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. “Prima della pandemia – prosegue – i ricoveri per tentato suicidio o per ideazione dello stesso rappresentavano il 25% del totale, con il Covid siamo passati al 58%”. Ma cosa c’è dietro? “Fragilità, senso di solitudine, disturbi dell’umore o depressione, che è diventata per il 68% dei casi il primo motivo per un ricovero ospedaliero, colpendo molto di più le ragazze rispetto ai ragazzi”. Tra le forme di suicidio e tentato suicidio vanno annoverati anche gli atti di autolesionismo o l’anoressia. “Prima dell’arrivo del Covid trattavamo in media ragazzi dai 15 anni in su, nell’ultimo biennio, però, l’età si è abbassata e abbiamo anche casi tra i 13enni”. Tra il 2019 e il 2021 anche i ricoveri in ospedale per cause legate ai disturbi del comportamento alimentare sono triplicati, con un trend in ulteriore aumento in questo inizio del 2022. L’età più a rischio per l’insorgenza di un disturbo alimentare è tra i 15 e i 25 anni ma, nell’ultimo periodo, l’età d’esordio, che molto spesso coincide con quella evolutiva, si è abbassata, con casi gravi anche a partire dagli undici, dodici e tredici anni. In questo quadro, la SINPIA – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – lo scorso 15 marzo, in occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, ha lanciato un allarme su tale problematica, accendendo i riflettori proprio su questa evidenza. “Le richieste sarebbero ancora maggiori – spiega la prof.ssa Elisa Maria Fazzi, presidente della SINPIA e Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili di Brescia – dato che molti, soprattutto le ragazze, non potendo essere accolti nei reparti per mancanza di posti letto, vengono appoggiati in realtà non specificatamente attrezzate, non ricevendo le cure idonee per la loro patologia per la quale l’approccio del neuropsichiatra infantile, che cura mente e corpo, è parte integrante e fondamentale soprattutto nei soggetti più giovani. La presa in carico precoce e la riuscita del primo percorso di cura è fondamentale per la prognosi della patologia. Stiamo parlando di pazienti molto complessi in cui alle problematiche internistiche e psicopatologiche specifiche del disturbo si associano spesso diverse e gravi comorbidità psichiatriche. Le competenze dei servizi di neuropsichiatria infantile sono assolutamente centrali nei percorsi della presa in carico di queste pazienti, non ultimo per l’importanza che viene data al coinvolgimento della famiglia nel percorso di cura”. Ma come mai la pandemia ha influito così tanto su questo aspetto della vita adolescenziale? Bisogna comprendere che questo tipo di patologie mentali è caratterizzato da una alterazione delle normali abitudini di consumo del cibo e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Tra i principali disturbi: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (o Binge Eating Disorder – BED). A questi si aggiungono altri fattori di rischio come l’eccessivo tempo trascorso utilizzando i social media e l’influenza che questi hanno nel costruire stereotipi di bellezza. Durante il confinamento e la pandemia l’incertezza ha fatto da padrona sulla percezione del futuro. La salute è stata la principale fonte di preoccupazione. La sedentarietà, in alcuni soggetti ha suscitato reazioni negative per l’aumento del peso, a causa anche della difficoltà di svolgere, come nella normalità, sport. Per tale ragione, l’aspetto fisico e l’attività sportiva sono stati tra i fattori principali per l’insorgenza dei disturbi alimentari tra gli adolescenti. Inoltre, la quarantena ha inciso fortemente sui rapporti umani e per alcune persone è stato psicologicamente devastante: l’isolamento e la solitudine isolamento sono conseguenze dell’anoressia e sono peggiorate durante la crisi sanitaria. “La paura dell’infezione dal virus – spiega la Dott.ssa Rosamaria Siracusano, Coordinatore della Sezione Scientifica di Psichiatria della SINPIA e Dirigente Medico UOSD Neuropsichiatria Infantile AOU Federico II di Napoli – ha favorito la sensazione di perdita di controllo che, nelle persone con disturbi alimentari, è spesso gestita con un aumento delle restrizioni dietetiche o altri comportamenti estremi di controllo del peso o con episodi da abbuffata”. Secondo la SINPIA, il peso dell’acuzie e della gravità di casi legati a disturbi alimentari si è tradotto in modo drammatico sui ricoveri di pazienti sempre più compromessi, che trovano solo nei reparti ospedalieri un immediato luogo di accoglienza in situazioni gravi o gravissime. Inoltre, l’aumento della complessità e della gravità dei casi si ripercuote in degenze più lunghe rispetto al passato, anche per la carenza di strutture intermedie, di percorsi di macroattività ambulatoriali o day hospital, in cui permettere al paziente un ritorno al territorio o a strutture più specificamente riabilitative. La letteratura scientifica non fornisce ancora un’eziologia esaustiva dei disturbi alimentari. Ciò comporta che, al momento, si può intervenire sui fattori a conoscenza degli specialisti. Per esempio, si può provare a intervenire sulle pressioni socioculturali alla magrezza che possono indurre spingono ai comportamenti di dieta (uno dei più potenti fattori di rischio) ma non è possibile intervenire su fattori genetici , fattori di personalità o fattori familiari. Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato l’efficacia del confronto e del dibattito, finalizzato a stimolare e ad acquisire una capacità di discernimento tale da leggere con senso critico i messaggi dei mass-media. Non si tratta di incentrare le discussioni esclusivamente nei campi dell’anoressia e delle bulimie nervose, ma anche di affrontare argomenti legati alle problematiche adolescenziali, che vanno dalla percezione del corpo, l’autostima e le difficoltà interpersonali e si occupano di identificare ed eventualmente modificare nozioni e convinzioni errate, spesso radicate nei giovani. Risulta importante valutare l’efficacia dei programmi preventivi la cui efficacia non è però ancora accertata. Tali programmi vengono in genere svolti a livello scolastico e prevedono in genere la discussione di problemi legati all’alimentazione e delle loro conseguenze o, più in generale, di problemi legati alla crescita e alla adolescenza. Esiste poi una prevenzione di tipo “secondaria”, che ha lo scopo di identificare i casi il prima possibile rispetto all’insorgenza del disturbo, poiché è stato appurato, a livello clinico, che un trattamento intrapreso nelle prime fasi della malattia è molto più efficace. Non sempre tuttavia, l’adolescente con un problema alimentare ammette di avere bisogno di aiuto, è quindi importante una sensibilizzazione dell’ambiente delle famiglie e degli operatori scolastici.