Le fratture sono un evento comune in età pediatrica. Le statistiche ci dicono, infatti, che circa il 42% dei ragazzi e il 27% delle ragazze ne ha subita almeno una prima dei 16 anni, generalmente come conseguenza di un evento traumatico di qualche tipo. Il problema, però è quando le ossa si rompono in punti in cui abitualmente le ossa sono poco soggette a fratture o a seguito di traumi così lievi da non giustificare una simile conseguenza. In questi casi, il primo pensiero è che ci si trovi davanti a una frattura patologica. Come spiega Cosimo Gigante, direttore dell’UOSD di Ortopedia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova e Presidente uscente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, una ”frattura patologica avviene a seguito di un evento minore che in condizioni normali non l’avrebbe causata”. A determinarla possono concorrere diversi fattori. Il più probabile, però, è la presenza di cisti osee giovanili. Queste ultime, generalmente, fanno la loro comparsa nel corso della prima infanzia, tra i 7 e i 9 anni. Sono quasi sempre asintomatiche e proprio per questo vengono spesso identificate solo in seguito a un esame effettuato per monitorare l’entità di una frattura. Anche se raramente, però, in casi limitati, la cisti può accompagnarsi a un dolore che si concentra a livello della spalla, quando la cisti è sull’omero, o dell’anca quando invece si forma sul femore. Le cisti ossee, oltre che per la presenza o meno di sintomi, vengono distinte in unicamerali e aneurismatiche. Le prime, chiamate anche semplici, fanno la loro comparsa vicino alle cartilagini di accrescimento nelle braccia o nelle gambe dei bambini. Causano spesso l’assottigliamento delle ossa circostanti, portando alla frattura. Quelle che misurano meno di 5 centimetri di lunghezza o di larghezza possono sparire con la guarigione della frattura; se più grandi, invece, necessitano di un trattamento specifico. Normalmente interessano le ossa lunghe, quindi omero e femore, insieme alle zone circostanti, quindi spalla e anca. Come detto, la problematica è piuttosto diffusa tra i bambini ma poco diagnosticata tanto che nei centri di Ortopedia Pediatrica, si stimano dai 4 agli 8 casi l’anno. La diagnosi viene formulata mediante una radiografia e a volte tramite risonanza magnetica per immagini oppure tomografia computerizzata (TAC). Quando occorre, vengono trattate con iniezioni di corticosteroidi (spesso ripetute), con un inserto osseo plastico o con sostituti ossei sintetici. A volte il trattamento consiste in un intervento chirurgico per rimuovere il contenuto della cisti dall’osso mediante raschiamento con uno strumento a forma di cucchiaio (curettaggio), e il trapianto di osso prelevato da un’altra parte del corpo (innesto osseo). Indipendentemente dal trattamento, la cisti rimane o si ripresenta nel 10-15% circa delle persone. Discorso diverso quello riguardante le cisti aneurismatiche. Colpiscono i giovani al di sotto dei 25 anni. Non se ne conosce la causa, ma si sa che sono composte da varie sacche piene di sangue attaccate le une alle altre. Come le unicamerali, attaccano solitamente i bordi delle ossa più lunghe, ma rispetto alle prime possono trovarsi potenzialmente in prossimità di qualsiasi osso. Le cisti aneurismatiche tendono a crescere lentamente. Il dolore e il gonfiore sono comuni. Anche in questo caso, la diagnosi viene effettuata tramite una radiografia e una risonanza magnetica per immagini (RMI); opportuna la biopsia. La rimozione chirurgica dell’intera cisti è, di solito, il trattamento più efficace, tuttavia, a volte si riforma, soprattutto se non viene rimossa completamente. L’intervento tramite le radiazioni va evitato perché possono causare tumori maligni che non si presentano subito, ma si sviluppano solo successivamente. Tuttavia, la radioterapia è da considerarsi il trattamento alternativo per le cisti che non è possibile trattare chirurgicamente e che esercitano pressione sul midollo spinale. La possibilità o meno di guarigioni dalle ciste ossee, di entrambi i tipi, non avviene purtroppo nel momento in cui esse vengono identificate. Spiega il Prof. Gigante “la prognosi è di solito favorevole ma, al momento della diagnosi noi non sappiamo se ci troviamo di fronte a una cisti che guarirà o saremo impegnati in una lunga battaglia in cui, dopo aver eseguito tutti i trattamenti possibili, saremo poi costretti a ricorrere alla chirurgia aperta. Il destino della cisti è però sempre positivo, perché alla fine ne avremo ragione anche per il fatto che normalmente l’attività osteolitica di queste cisti tende naturalmente a esaurirsi con il raggiungimento della maturità scheletrica”.
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