Nei Paesi occidentali l’aderenza al trattamento farmacologico, tra i pazienti affetti da patologie croniche, arriva soltanto al 50%, causando serie conseguenze cliniche, psicosociali ed economiche. Per questo promuovere l’aderenza terapeutica è un’esigenza importante, per la salute dei cittadini e anche per la sostenibilità del sistema sanitario e del Paese. Il tema sfiora soltanto l’obbligatorietà dei vaccini ma è estremamente attuale, perché in tempi di crisi economica, rientra nel più generale bisogno di monitorare gli effetti positivi e negativi dei trattamenti, in modo da facilitare al massimo la sostenibilità delle scelte cliniche, l’ottimizzazione delle risorse economiche, sostenere i trattamenti innovativi, evitando sprechi di risorse del SSN. Va bene quindi, spendere alcune parole sui concetti di compliance e di aderenza terapeutica, che solo apparentemente appaiono come sinonimi. Compliance, infatti, e un termine che definisce il grado di coincidenza tra il comportamento di un soggetto, e nel caso della pediatria della sua famiglia, e i consigli del medico e in termini generali implica un’asimmetria decisionale e quindi un’obbedienza passiva: si accetta e si segue la prescrizione medica. L’aderenza terapeutica, invece, è considerata una esclusiva responsabilità del paziente o dei genitori, riflettendo un comportamento dinamico e oggettivo, fondato su una conoscenza della patologia, l’accettazione della terapia proposta dal medico, le sue potenzialità, i suoi limiti e gli eventuali problemi collaterali. In altre parole, si accetta attivamente il progetto terapeutico e le raccomandazioni del medico. La scarsa aderenza alla terapia è uno dei più importanti ostacoli per il raggiungimento dei risultati clinici voluti, ma negli anni ha ricevuto poca attenzione da parte della comunità medica che ha maturato l’idea che essa sia un’esclusiva responsabilità degli altri. Secondo molti studiosi della Medicina basata sulle Evidenze, nelle malattie croniche in circa un caso su quattro non si segue adeguatamente la prescrizione farmacologica indicata, in base a due modelli di comportamento: intenzionale e non intenzionale. Il primo corrisponde a una decisione consapevole della famiglia di tipo razionale (si ritiene che i farmaci siano tossici, non efficaci, troppo costosi, ecc.) o irrazionale (risposta emotiva sia nei riguardi della malattia che del farmaco). Diversi i fattori che possono incidere: alcuni legati al paziente e alle esperienze dei suoi genitori, altri alla malattia, alla terapia o al medico. La famiglia può mostrare una resistenza ad accettare la malattia che talora è interpretata come risultato della sfortuna, della fatalità o di ingiustizia; oppure può avere difficoltà a comprendere la necessità della terapia, specie se i sintomi sono minimi o assenti. La mancanza di fiducia nei confronti del medico porta in genere a una forma di nomadismo, alla ricerca del professionista più bravo. Rispetto alla malattia sia la compliance che l’aderenza diminuiscono nel caso di malattie croniche, in cui il farmaco va assunto per lunghi periodi e spesso in regime di politerapia; dopo i periodi di acutizzazione, quando il bambino mostra di stare meglio e ciò incoraggia i suoi familiari a interrompere le cure. Non si deve però pensare sempre a un fenomeno del “tutto o nulla”, ma le situazioni possono essere diverse: errori nel dosaggio, errori nella frequenza di somministrazione, omissioni parziali o totali della terapia per diversi periodi di tempo, completa interruzione del trattamento. La terapia viene più facilmente abbandonata o dimenticata quando si temono eventi collaterali avversi, quanto più è complesso e routinario il trattamento. Senza ignorare, anche, che il Sistema Sanitario Nazionale può influenzare l’aderenza in termini di offerta concreta di un farmaco costoso, suggerendo o imponendo modifiche alla terapia, con ripercussioni negative sulla corretta assunzione dei farmaci. Anche i medici hanno delle responsabilità: minore aderenza si ha quando non si forniscono informazioni chiare, oppure esiste una scarsa relazione medico/famiglia; quando la visita è rapida e non soddisfacente con il medico che non ascolta o manca di empatia. Numerosi studi hanno documentato come l’aderenza al trattamento farmacologico migliori nei 5 giorni precedenti e successivi la visita medica, rispetto a quella misurata nei 30 giorni successivi e come si correli con uno stile positivo ed empatico del rapporto pediatra-genitori. È evidente come la non aderenza alla terapia porti a una maggiore morbidezza, a una perdita di efficacia, a un aumento delle assenza da scuola. Oltre al già ricordato nomadismo medico con visite mediche irregolari e non continuative, si ricorre poi sempre più alla terapia autogestita con un crescente livello d’insuccessi, insoddisfazione e frustrazione. I pazienti maggiormente a rischio sono i bambini in trattamento cronico, chi è sottoposto a politerapie, chi non ha informazioni sufficienti o semplicemente ha più paura della malattia. Oggi si suggerisce di ricorrere a un terzo termine, concordanza, basato sul concetto che l’alleanza terapeutica tra pediatra e famiglia è un processo di negoziazione, con pieno rispetto delle esigenze di entrambi. Ai fini, quindi, di aumentare l’aderenza alla terapia, bisognerebbe porre attenzione ai cosiddetti marker di non-aderenza, quali a esempio appuntamenti mancati, l’assenza di risposta al trattamento, la mancata richiesta di rinnovamento della ricetta. Ma anche scoprire le opinioni e la percezione degli adulti nei confronti del farmaco, fornendo informazioni chiare e semplificare, per quanto possibile, gli schemi terapeutici, coinvolgendo i familiari, prescrivendo eventualmente formulazioni diverse che possano concorrere ad aumentare la compliance. In questo va quindi apprezzato l’impegno delle aziende farmaceutiche nello sviluppo di nuovi farmaci con minori effetti collaterali, che richiedano minor frequenza di assunzione, di più facile utilizzo.
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