La nostra società è alle prese con la necessità di integrare al proprio interno un numero sempre più ampio di individui di diversa nazionalità ed etnie. Uno sforzo non semplice, che mostra le complessità di una immigrazione di massa, troppo rapida, non prevista nella sua estensione numerica e multietnica. A questa difficoltà non sfugge la medicina e le sue varie pratiche terapeutiche, che spesso trovano ostacoli in pregiudizi, tradizioni, credenze religiose, abitudini e comportamenti portati con se dal proprio paese di origine. Sovente si tratta di scelte e pratiche nei cui riguardi la nostra legge e i media hanno già acceso i riflettori, come l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili, ma per altre non si può auspicare misure legali o prescrizioni obbligatorie, ma solo una migliore informazione e l’adeguamento alle conoscenze scientifiche e alle prescrizioni proposte dalla nostra sanità pubblica. Il caso dell’allattamento appare emblematico. Il 95% delle madri in Africa allatta al seno i propri bambini. È una pratica salutare ed economica, che garantisce al neonato una serie di difese immunitarie e nutrimenti che, altrimenti, potrebbero mancare e mettere a rischio la loro stessa vita. Tuttavia, anche nel continente nero l’esperienza dell’allattamento naturale è sovente accompagnata da pregiudizi. Che non scompaiono all’arrivo in Italia, ma che anzi spesso trovano da noi insospettabili conferme. Ad abbattere questi preconcetti, devono essere in primo luogo i pediatri di base, la prima linea di una campagna che può servire a sensibilizzare le donne immigrate che avessero dubbi a ricorrere all’allattamento al seno. Un’indagine condotta dalla organizzazione di volontariato Amref Health Africa, da anni impegnata negli aiuti alle popolazioni in difficoltà nei paesi africani, il primo dei pregiudizi che allontana le donne dall’allattamento è la convinzione che dopo un parto cesareo, non bisogna attaccare il bambino al seno. Come ben si sa, invece, il bambino ha immediatamente bisogno del latte materno, anche se è nato da parto cesareo. Pertanto, a meno che la madre sia impossibilitata a farlo, è importante che il bambino venga allattato e in questo i pediatri non devono lasciar posto ad alcun dubbio. Un’altra convinzione che va rimossa è che le donne in terapia non devono allattare. Certamente non si può mai generalizzare ma, in termini generali, non si può sostenere che se il latte materno contiene una lievissima quantità di medicinali, il bambino corre dei rischi o ne sarà danneggiato. Molte donne immigrate sono convinte che se la propria dieta non è sufficientemente ricca, oppure è a base di cibi piccanti, non devono allattare naturalmente il proprio figlio ma ricorrere a formule artificiali arricchite industrialmente. Ora, se è vero che la dieta materna determina la composizione del latte è altresì vero che, in realtà, la dieta non influisce sulla qualità del latte materno. Ove le condizioni economiche non permettessero l’adozione di una dieta sana ed equilibrata in fase di allattamento, una madre non deve sentirsi inadeguata a nutrire il proprio figliolo delegando ai latti artificiali le funzioni che, anche in condizioni non ottimali, il latte materno svolge in maniera completa. L’unica precauzione che può essere consigliata, è quella di attendere almeno 40 giorni dopo il parto prima di mangiare cibi piccanti, che potrebbero indurre una, più o meno grave, costipazione. Passiamo ora ad affrontare una situazione che è molto comune nei paesi in via di sviluppo, ma che anche alle nostre latitudini può facilmente influire nella scelta di come va nutrito il proprio figlio. Quando il bambino è colpito da una dissenteria, un sintomo che in Africa può essere legato a diverse patologie da inquinamento batterico o virale dell’acqua, tipiche delle regioni equatoriali e subequatoriali, ma che da noi può essere provocata da cause molto più banali, è quello il momento in cui il bambino ha più bisogno di latte materno per combattere le infezioni intestinali e prevenire altri disturbi digestivi. Allo stesso modo, se a essere affette da dissenteria sono le madri, va loro chiarito che l’allattamento può essere continuato perché, è quasi impossibile che le infezioni virali possano essere trasmesse attraverso il latte materno. Andiamo avanti con i pregiudizi che spesso spingono le donne africane, rimaste a casa ma anche trasferitesi da poco in Italia, a ricorrere ai latti artificiali. Chi vive in un villaggio senza elettricità o in condizioni d’indigenza, può non possedere un frigorifero e quindi pensare che il latte materno tirato in eccesso, dopo alcune ore vada a male e non possa essere conservato. Al contrario, Il latte materno refrigerato può essere utilizzato il giorno successivo e mantenuto fino a un massimo di cinque giorni. Non è, poi, quasi mai vero che le madri di gemelli non producano abbastanza latte per i bambini. L’esperienza insegna che se i neonati sono sani e la donna non presenta problemi in fase d’allattamento, il corpo della madre è in grado di produrre abbastanza latte per entrambi i bambini. C’è infine un ultimo punto che va contrastato: che l’allattamento artificiale costituisca un segno di avanzamento sociale, l’appartenenza a una società più moderna e civilizzata. Solo convincendole che per i primi sei mesi dalla nascita il latte materno è l’alimento più sicuro, pulito e ricco di anticorpi e di tutte le sostanze nutritive di cui il neonato ha bisogno, si riuscirà a eliminare pregiudizi atavici che non aiutano a crescere sani, e soprattutto si faciliterà il processo di integrazione.
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