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Come il virus cambia la sanità pubblica

Tra distanziamento, mascherine e plexiglas, come è cambiata la comunicazione medico-paziente al tempo del Covid-19? I medici, dopo anni passati a seguire corsi per migliorare la relazione terapeutica fondata su una comunicazione più efficace, si trovano oggi ad affrontare una nuova sfida: imparare a comunicare con il paziente attraverso barriere fisiche e distanziamenti spaziali. Inoltre, schermi di plexiglas, mascherine e distanziamento sono ostacoli fisici che contribuiscono a rendere più difficile la comprensione dei discorsi tra medico, paziente e familiari. Si sta verificando una rivoluzione in cui la comunicazione non verbale rischia quasi di sparire, impoverendo di conseguenza, il modello della comunicazione come base di una migliore compliance.Non è esagerato dire che stiamo assistendo a una vera rivoluzione. Molti pazienti mostrano paura a frequentare gli ambienti medici che sono percepiti come uno specifico fattore di rischio, e accusano un generale senso di depressione psicologico e fisico. In sintesi viene sminuita e sottovalutata la figura del medico e dello specialista, non solo come terapeuta del corpo, ma anche dello spirito. La comunicazione medico-paziente, è stato più volte sostenuto in tantissime occasioni, si basa anche sulla parte non verbale, ma in questo momento le nuove barriere la rendono quasi impossibile. Anche quella verbale, la raccolta dell’anamnesi, le domande per individuare i sintomi e raccontare le condizioni personali o del proprio figlio, possono risultare stravolte. Dietro la mascherina la voce risulta alterata e diventa difficile parlare, comprendersi, sia da parte del medico che del paziente. Di fondo, c’è la grande incertezza, il timore di poter contagiare i propri cari, oppure che i bambini possano portare dentro le case dei nonni il virus, sono costantemente alimentati dai bollettini di guerra quotidiani e dalle notizie diffuse dai media, che alimentano il livello di ansia. Ne deriva la maggior richiesta, e talvolta l’obbligo della ricetta dematerializzata, che elimina del tutto l’incontro fra medico e paziente e rappresenta, speriamo per un periodo limitato, il massimo della disumanizzazione della medicina. Nel corso dei mesi di lockdown, anche i pediatri del territorio hanno assistito a un cambiamento nel comportamento dei genitori.Finora si era sempre sospettato che un primo triage fossero loro a farlo, stabilendo se portare o meno il bambino dallo specialista. Ora si è quasi certi che a causa delle restrizioni legate alla pandemia, anche tanti genitori hanno limitato di molto il ricorso agli ambulatori pediatrici e nei pronto soccorso, se non nei casi davvero gravi. Maggior cautela o più semplicemente più senso di responsabilità dei genitori? C’è modo di valutare se l’aver aspettato prima di portare i bambini dallo specialista abbia prodotto effetti negativi e quadri clinici peggiori? Una cosa è certa: nonostante le polemiche relative alle chiusure gli ambulatori che si sono verificate nei primi tempi del lockdown, i pediatri durante questa pandemia hanno continuato a lavorare moltissimo e se anche i loro studi si sono quasi svuotati, c’è stato un crescente ricorso al consulto telefonico per comunicare e gestire le situazioni familiari. Il Covid, ha infatti reso ancor più importante la comunicazione fra genitori e pediatri e il triage è diventato una prassi comune, decretata da una legge dello Stato, e da una circolare del ministro Speranza datata marzo 2020. Irrisolte però alcune criticità. Leonardo Venturelli, pediatra della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) segnala due i vincoli che permangono nel sistema italiano nell’attuazione delle consultazioni via telefono: “non si può fare diagnosi telefonica e non si può prescrivere terapia medica, se non farmaci da banco”. Anche gli Ordini dei medici hanno voluto ricordare di stare attenti al consulto telefonico, non fare diagnosi, non fare terapia medica in senso stretto attraverso il telefono, perché ci sono rischi legali in cui è possibile incorrere. L’importanza del triage telefonico rimane nel fatto, però, che può aiutare a capire, di fronte ai sintomi comunicati dai genitori per telefono, se il bambino ha necessità di essere visitato urgentemente, avviato in urgenza al Pronto Soccorso, se deve essere visitato in giornata, o se i consigli telefonici risultino sufficienti rispetto alle sintomatologie presentate”. Va anche detto che esiste una metodologia precisa in cui bisogna formarsi per condurre correttamente la consultazione telefonica, sia per la sensibilità nel fare le domande al genitore, sia per la decisione che viene fuori dal consulto, in particolare nei tempi del Covid: è necessario o meno visitare il bambino, portarlo in un centro di urgenza ed emergenza, oppure attivare i protocolli per il dipartimento di prevenzione e la somministrazione del tampone faringeo? Può bastare la telemedicina che pure può essere uno strumento molto efficace, soprattutto per pazienti che hanno già avuto una diagnosi e necessitano solo di un follow up. Come prevedibile, le ansie e le paure dei genitori hanno risentito molto delle notizie comunicate quotidianamente dai mezzi di comunicazione di massa o dai social. In particolar modo, dopo l’apparizione sui media di articoli che parlavano di sintomi dermatologici del Covid nei bambini, i pediatri sono stati sommersi dalle telefonate che chiedevano quali manifestazioni cutanee andavano considerate come segnale di un contagio da parte del virus. La manifestazione che nei primi mesi della pandemia era fonte di più preoccupazioni, quando ancora le temperature rimanevano vicine allo zero, erano le estremità fredde e lesioni simili a geloni sulla mani e soprattutto sui piedi. Difficile, talvolta, convincere i genitori che il paradigma da considerare è quello inverso: solo se il bambino è sintomatico e ha contemporaneamente anche manifestazioni cutanee, queste ultime possono essere correlate al Covid. C’è inoltre da tener conto che in diversi casi diagnosticati come Covid, una volta eseguito il tampone su bambini che presentavano anche manifestazioni cutanee, l’esito è risultato negativo, e ciò ha fatto pensare o che i piccoli pazienti possero essere già guariti, oppure che avessero una carica virale talmente bassa da non essere rilevata dal tampone.

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Tag:, , Last modified: Marzo 5, 2021
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