Dopo aver segnato il gol del 2-1 nella finale dei Mondiali di calcio del 2018, l’attaccante della Francia Antoine Griezmann si esibisce in una strana esultanza: alza un braccio in aria e si poggia la mano destra sulla fronte a formare una L con l’indice e il pollice. Dopodiché esegue un balletto che ricorda la danza dei cosacchi, saltellando sul posto a ginocchia alte e larghe. Anche se l’esultanza del petite diable (questo il soprannome dell’attaccante del Barcellona) ai più sarà parsa come l’ennesima trovata fantasiosa di un calciatore che festeggia un gol, il suo gesto era in realtà un riferimento al videogioco online Fortnite e, in particolare, al balletto “Taking the L”, una delle mosse che si possono acquistare all’interno del gioco. Vista la giovane età dell’atleta non c’è da stupirsi che egli abbia voluto omaggiare una applicazione che vanta milioni di appassionati in tutto il mondo e di tutte le età. D’altronde, viviamo nell’era dei videogiochi, un comparto che cresce a ritmi forsennati e intorno al quale orbitano interessi e guadagni astronomici. Negli ultimi anni sono nate una serie di nuove professioni legate a tale ambito, come quella del gamer e dello streamer, ovvero persone che giocano ogni giorno in diretta sulle piattaforme streaming e vengono seguite da migliaia di follower, percependo per questo uno stipendio. Se i videogiochi sono in forte espansione, essi portano con sé una serie di incognite e problematiche connesse un nuovo tipo di dipendenza, quella da internet. Le autorità sanitarie ci dicono che sono in aumento, infatti, i disturbi legati all’abuso e alla dipendenza da smartphone e videogame. Nuove patologie hanno fatto la loro comparsa, quali a esempio la sindrome da iperconnessione, la no mobile fobia (la paura di rimanere senza connessione mobile), la FOMO (fear of missing out, ovvero il terrore di essere tagliati fuori dalle reti social), ecc. Allo stesso modo proliferano nuovi termini che descrivono comportamenti, pratiche sbagliate e patologie legate all’utilizzo dei device digitali: vamping (passare tutta la notte in chat) hikikomori (uso esagerato della rete che porta all’isolamento sociale), e ancora, cyberbullismo, sexting e sextortion, compulsive online gambling (gioco d’azzardo online compulsivo), narcisismo digitale e phubbing (la tendenza a ignorare gli altri perché immersi nel proprio cellulare). E chi più ne ha più ne metta. Una terminologia sempre più diffusa e specifica, necessaria per stare al passo con i problemi della contemporaneità. Sebbene se ne parli relativamente poco, il fenomeno sta assumendo proprozioni massicce, tant’è che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 2018 ha inserito la dipendenza da videogiochi fra i disturbi mentali, definendo il soggetto che ne è affetto come “una persona che gioca a lungo e in modo ossessivo, sviluppando tra le altre cose gravi problemi sociali, mentali e fisici”. La platea interessata dai disturbi della bulimia tecnologica è potenzialmente molto vasta: secondo l’ultimo rapporto Agi-Censis, la maggior parte degli utenti internet è online prima di dormire (77,7%) e subito dopo essersi alzata al mattino (63,0%); mentre il 61,7% utilizza i device anche a letto (tra i giovani si arriva al 79,7%) e il 34,1% persino a tavola (anche qui la quota giovanile è maggiore: 49,7%). In Olanda il consorzio per il giornalismo investigativo “Investico” e il programma televisivo Nieuswuur hanno realizzato un’inchiesta sui malati digitali dei Paesi Bassi e ciò che hanno scoperto è a tratti sconcertante: sono diverse le cliniche di recupero olandesi che ospitano ragazzi affetti da gravissime forme di dipendenza tecnologica e negli ultimi tre anni il numero dei giovani ricoverati per problematiche di questo tipo è raddoppiato, tanto che oggi si accettano solo i casi più gravi perché le liste d’attesa sono lunghissime. Ma a colpire maggiormente sono le testimonianze dei ragazzi finiti nella spirale del gaming online compulsivo. Oltre a passare tutta la giornata davanti allo schermo, evitando anche di andare in bagno a fare pipì per non interrompere la sessione, molti di loro hanno raccontato di aver consumato un solo pasto veloce al giorno per tornare subito a giocare e di essersi fatti per anni meno di una doccia a settimana. Alcuni hanno smesso di andare all’università o hanno perso il lavoro. Altri ancora si sono chiusi in sé stessi in una sorta di prigione digitale. In tantissmi casi, oltre alle ripercussioni psico-fisiche gravissime, la dipendenza da videogiochi arreca danni anche al portafogli. Sempre più sviluppatori infatti implementano i loro giochi con la possibilità di acquistare elementi di vario tipo: skin (costumi), armi, gadget virtuali esclusivi, ecc., inducendo di fatto i giocatori a sborsare soldi reali, attraverso le cosiddette “microtransazioni” (che vanno da pochi euro fino a centinaia). Alla base di tali meccanismi ci sono strategie raffinate ideate insieme a esperti e psicologi che provengono direttamente dal mondo del gioco d’azzardo per attirare più giocatori possibili. Per avere un’idea del denaro che circola in questo settore, basti pensare che nel 2018 l’industria internazionale dei videogiochi ha fatturato 123 miliardi di euro, raddoppiando gli introiti rispetto al 2012. Ma cosa, nello specifico, genera una dipendenza così forte? Gli esperti spiegano che essa rappresenta solo l’ultimo stadio di una curva discendente. Si possono infatti distinguere quattro fasi: nella prima giocare è di per sé un atteggiamento aproblematico; nella seconda fase, cosiddetta “social”, si passa più tempo di quanto non si dovrebbe scorrendo l’homepage dei social network senza motivo; la terza fase viene definita del “gioco problematico” e comporta conseguenze più serie come l’arrivare in ritardo a scuola o al lavoro; infine la quarta e ultima fase, ossia la dipendenza. Un altro aspetto che l’inchiesta mette in luce è che l’industria dei videogiochi non si assume la responsabilità degli effetti causati dai suoi prodotti. La teoria degli sviluppatori è che la dipendenza da videogiochi in sé non esiste ma è solo la conseguenza di cause e problematiche pregresse, come a esempio la depressione. Una giustificazione o uno scaricabarile di responsabilità tra una dipendenza e l’altra, sulla pelle delle persone che si ammalano e che soffrono. Infatti, volendo, essa è applicabile a tutti i tipi di dipendenze: anche la maggior parte degli alcolizzati diventa tale perché è depressa. Per fronteggiare il dilagare di queste patologie, il mondo medico-scientifico ha inziato da qualche anno a individuare dei percorsi di recupero e delle risposte specifiche, con un’attenzione particolare verso gli adolescenti della Generazione Z (i nati dopo il Duemila) e le loro famiglie. Come spiega la psicologa Maria Rosaria Montemurro, Digital Life Coaching: “servono più consapevolezza, sensibilizzazione e un approccio orientato alla vita sana e alla prevenzione. Sono problemi di cui si parla ancora poco, ma l’abuso dei device digitali è correlato a problemi come ansia, stress, depressione, appiattimento emotivo, decadimento cognitivo e alterazione del ritmo sonno-veglia, con conseguenze sui rapporti sociali, la salute psichica e fisica (problemi di postura e di vista, in casi gravi anche vertigini e tachicardia)”. L’obiettivo principale della cura è aiutare a ritrovare sé stessi in primis, e poi tornare ad avere uno stile di vita sano ed equilibrato attraverso la riscoperta del senso di gruppo. Più o meno la stessa cosa che si tenta di fare nei numerosi centri per l’ascolto presenti in tutta Italia. Tra i tanti, impossibile non segnalare il centro specializzato del Gemelli a Roma aperto già nel 2009, e che oggi assiste centinaia di giovani. La medicina studia da poco questo genere di problematiche e patologie legate all’era digitale che possono seriamente compromettere la vita delle persone, a partire dall’adolescenza. Ben vengano, quindi, le campagne di sensiblizzazione e di prevenzione per mettere in guardia dai rischi che si corrono quando si abusa di internet, per favorire un uso sano e proficuo di quella che, in fin dei conti, è una delle scoperte pù rivoluzionarie e utili per l’umanità.
Tag:bullismo, psicologi, psicologia, truffe, turbe, web Last modified: Giugno 19, 2020Smartphone e videogame: il lato patologico del web
