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Nuove frontiere terapeutiche per la vitiligine pediatrica

Sebbene sia molto rara, si può curare la vitiligine nei pazienti più giovani grazie all’utilizzo di nuove tecnologie

Duranre la 24esima edizione del Congresso Nazionale Dermatologgia per il Pediatra – dalla morfologia alla diagnosi, tenutosi dal 24 al 25 maggio 2024 presso il Palazzo dei Congressi, Riccione, il Prof. Torello Lotti, ha illustrato alcuni trattamenti innovativi per affrontare la vitiligine. In alcuni casi quelle presentate sono state innovazioni di terapie già esistenti, in altri, invece, sono state presentate nuove metodiche. Come ben sanno i dermatologi e i pediatri, questo disturbo ipopigmentario cronico è piuttosto raro nell’infanzia, manifestandosi solo nell’1% dei bambini, prevalentemente in Europa e in America del Nord. La patologia compare solitamente tra i 5 e i 10 anni di età e il 40% dei bambini che ne sono affetti presenta i sintomi in questo lasso di tempo. Raramente fa il suo esordio prima dei due anni (solo nel 10% dei casi) mentre nel 28% dei casi appare tra 2 e i 5 anni. Tra i trattamenti più utilizzati – ha spiegato il prof. Lotti – quelli più efficaci in termini di risultati sono sicuramente le fototerapie, specie se la patologia si presenta come generalizzata. “Nell’ultimo decennio – ha continuato – sono state introdotte nuove tecniche, sia naturali che artificiali, per ottenere migliori risultati clinici in termini di ripigmentazione, con minori effetti collaterali”. La lista riportata inizia con la climatorerapia, in questo caso effettuta con l’esposizione naturale alla luce solare, preferibilmente del Mar Morto. “È ormai chiaro come al Mar Morto la luce solare viaggi al di sotto del normale livello del mare, attenuando la gamma bassa dello spettro UVB, che è quella non terapeutica. Questo fatto spiega come i pazienti vitiliginosi mostrino un maggiore miglioramento delle lesioni cutanee dopo la terapia solare in questa speciale area geografica. Il protocollo terapeutico varia a seconda delle caratteristiche dei pazienti (a esempio fototipo cutaneo, età, comorbidità) e della loro malattia. In generale, il ciclo terapeutico, consiste in una seduta giornaliera, con un aumento graduale del tempo di esposizione”.Tra gli studi riportati a sostegno dell’efficacia di questo approccio, ve ne è uno che mostra l’opportunità di combinare la DSC (l’acronimo con cui viene indicata questo tipo di climatoterapia) con l’applicazione topica di una crema a base di pseudocatalasi (pomata cosmeceutica formulata con calcio, manganese, bicarbonato di sodio ed EDT), per ottenere una ripigmentazione più rapida. Va detto che il ricorso alla pseudocatalasi, tuttavia, è ancora una questione controversa. Secondo uno studio aperto condotto a nel Regno Unito, e due studi randomizzati in doppio cieco – svolti rispettivamente in Iran e in Australia – non hanno potuto dimostrare alcun effetto benefico di questo composto rispetto al placebo. Restando nell’ambito della Fototerapia, “un’altra innovazione – secondo l’esperienza del prof. Lotti – è la fototerapia solare selettiva. Recentemente, è stata introdotta una crema topica per somministrare selettivamente la terapia nb – UVB, quando il paziente è esposto all’irradiazione solare ultravioletta. Il protocollo prevede l’applicazione della formulazione, solo sulle chiazze vitiliginose, mentre sulla pelle non interessata viene applicata una protezione solare SPF 50 a banda larga”. In questo caso, spiega ancora il professore, il trattamento sembra essere efficace e sicuro, fornendo buoni risultati in termini di regolarità. Apriamo il capitolo Laser: “Tra le radioterapie artificiali, il laser a eccimeri è probabilmente la più antica fototerapia introdotta per il trattamento della vitiligine”. Come è noto, questa tipologia di laser a cloruro di xenon, eroga radiazioni di 308 nm, con una dimensione variabile dello spot (valore medio: 15 – 25 mm). Il protocollo terapeutico, anche in questo caso, varia in base alle caratteristiche del paziente, della patologia e del sistema di erogazione. Di norma, prevede due sedute settimanali per 13 settimane. Ma come funziona? “Durante la prima seduta – sottolinea Lotti – l’operatore stima la MED (Minimal Erythema Dose) del paziente in un’area vitiliginosa, per poter impostare la prima dose di radiazioni, corrispondente alla MED diminuita del 10%. Nelle sedute successive, la dose aumenta gradualmente in base alla risposta clinica”. Alcune novità riguardano anche la ben conosciuta Terapia UVA. In particolare, le lampade per fototerapia con banda alogeno-metallica confinata all’alta irradiazione UVA1 (340-400 nm) stanno creando un crescente interesse e impiego in dermatologia. Gli effetti immuno-modulanti degli UVA1 rendono questo tipo di fototerapia utile per il trattamento anche di altre malattie della pelle, come la dermatite atopica e la psoriasi. Come si applicano alla vitiligine? “Il programma terapeutico – continua Lotti – consiste solitamente in 3-5 sedute settimanali, con una dose iniziale di 20-30 J/cm2, che viene progressivamente aumentata nelle sedute successive fino alla dose completa. Il trattamento è ben tollerato. Gli effetti collaterali più comuni sono oltre l’abbronzatura, eritema, prurito e reazioni fototossiche (eczema, orticaria). Gli effetti collaterali a lungo termine devono ancora essere studiati”. Passiamo ora agli antiossidanti. Nella sua relazione Lotti ha spiegato come sia ormai assodato che lo stress ossidativo, sia dei melanociti che dei cheratinociti, sia un importante meccanismo patogenetico alla base della progressione della vitiligine. In particolare, la compromissione dei cheratinociti toglie il supporto trofico ai melanociti e ne induce la conseguente morte. Tra i meccanismi proposti per la prevenzione dello stress cellulare dei cheratinociti, è stata recentemente suggerita la modulazione positiva di SIRT1. Sulla base di tale osservazione, il resveratrolo e altri agenti sono stati proposti e testati con successo nei pazienti affetti da vitiligine, per proteggerli dalla progressione della malattia. Infine parliamo di Low Dose Medicine. Molti studi sottolineano come la vitiligine sia caratterizzata da uno squilibrio delle molecole di segnalazione (a esempio, fattori di crescita, citochine) che regolano il normale cross-talk tra cheratinociti e melanociti, in particolare un’iperproduzione di citochine Th1 e Th17, ad azione infiammatoria. Recentemente, ricercatori e medici che operano nel campo della LDM hanno studiato la possibilità di trattare la vitiligine con citochine, fattori di crescita e neuropeptidi a basse dosi. Secondo quale principio? “è stato dimostrato – chiarisce Lotti – come l’uso di citochine antinfiammatorie a basse dosi orali (Interleuchina – 4 e Interleuchina – 1O a basse dosi; anticorpo anti-interleuchina 1 a basse dosi) e b – FGF, possa essere utile per ripristinare l’alterato cross-talk cheratinociti-melanociti, portando a una ripigmentazione cutanea. Il protocollo terapeutico consiste nell’assunzione orale di 20 gocce, due volte al giorno, per 9 mesi, di FGF a basso dosaggio, IL4, IL10 e IL1 e diversi studi osservazionali ne hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza. La combinazione di citochine a basso dosaggio con trattamenti più convenzionali (a esempio, corticosteroidi topici o fototerapia microfocalizzata) fornisce risultati migliori in termini di tasso di ripigmentazione”. Il nostre resoconto della relazione del Prof. Torello Lotti , si conclude qui, anche se l’interesse mostrato dal pubblico avrebbe necessitato di molto più spazio. Ciò che è emerso è che la ricerca scientifica sta raggiungendo risultati fino a ieri insperati nella lotta a una patologia cutanea, certamente non pericolosa per il paziente, ma che gli condiziona molto la qualità della vita.

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Tag:, , , , Last modified: Luglio 1, 2024
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