Immaginiamo di immergerci nel complesso e articolato mondo di uno dei più importanti tessuti umani
Alcuni anni orsono il compianto Piero Angela realizzò un fantastico documentario che permetteva allo spettatore di entrare e osservare dall’interno il corpo umano. Ebbe un grandissimo successo e permise a molti non addetti ai lavori di capire di più del funzionamento dei vari organi e tessuti. Oggi ci piace immaginare e proporre un simile viaggio all’interno del tessuto connettivo, passeggiando fra le varie cellule di forma e funzioni diverse, tenute separate da una fondamentale sostanza intercellulare. Per chi pensa che questo esercizio di fantasia abbia poco valore, segnaliamo che molti programmatori di realtà virtuale e aumentata si stanno cimentando con progetti analoghi per fornire, agli studenti di medicina ma anche agli specialisti, strumenti per visualizzare concetti che per secoli sono rimasti per lo più vaghi, o affidati alla matita di disegnatori cui era richiesto di trasformare in immagini tridimensionali elementi cellulari o subcellulari altrimenti descrivibili solo a parole. Partiamo quindi con ricordare che il termine “connettivo” sott’intende la funzione principale di questo tessuto, che serve proprio a connettere vari tipi di tessuto per formare gli organi e gli apparati. Le sue funzioni sono però molto più numerose e tutte molto importanti (meccanica: di sostegno; trofica per i capillari sanguigni; di difesa sia di tipo passivo meccanica che attiva verso i microbi per la presenza di cellule specifiche). Immergendoci nel nostro tour all’interno del tessuto connettivo ci appare subito uno scenario caratterizzato da due componenti di cui abbiamo a lungo sentito parlare: la sostanza intercellulare e le cellule, autoctone e immigrate. Guardandoci in giro ci appare evidente che la sostanza intercellulare è a sua volta formata da due componenti: le fibre connettivali e la sostanza amorfa che si trova fra le fibre a riempire lo spazio lasciato libero tra le cellule, che ha una sua colorabilità ma non una forma propria. Più in profondità, le fibre connettivali, nonostante vengano definite, in modo generico, come strutture proteiche o glicoproteiche allungate, resistenti alla trazione e ben visibili al microscopio, non sono tutte uguali e infatti se ne distinguono tre tipi: 1) fibre collagene, 2) fibre reticolari 3) fibre elastiche. Le prime sono le più diffuse e sono costituite dall’omonima proteina che da sola costituisce circa 1/5 del peso totale dell’organismo. Si colorano molto bene con coloranti acidi e sono birifrangenti al microscopio a luce polarizzata, mentre dal punto di vista istologico appaiono come filamenti allungati rettilinei o appena ondulati, acidofili per la loro ricchezza in proteine. L’unità di base del collagene è la molecola di tropocollagene che risulta formato da 3 catene proteiche (che possono essere di tipo a1 oppure a2, avvolte tra loro a formare una tripla elica). Più molecole di tropocollagene si uniscono tra loro per formare filamenti sottili (60-100nm) detti microfibrille, e più microfibrille si uniscono in fasci a formare la fibrilla (0.2 micron), e più fibrille creano le fibre collagene. In base alla composizione delle catene a del tropocollagene si possono distinguere fino a 12 diversi tipi di collagene: il Collagene di tipo I (90%) formato da una molecola di tropocollagene con due catene di microfibrille a1 piuttosto grandi (20-100 nm di diametro), identiche e prodotte da uno stesso gene, e una catena a2 codificata da un altro gene,che si trova principalmente nei tessuti ossei, nel derma e nei tendini. Il Collagene di tipo II è costituito da tropocollagene a tre catene a1 che, però, non sono uguali a quelle del collagene di tipo I derivando da un altro gene, mentre le microfibrille sono più piccole (10-20 nm), con scarsa tendenza ad aggregarsi all’interno della cartilagine ialina; Il Collagene di tipo III è presente nelle fibre reticolari dei vasi sanguigni e nel derma, sotto forma di microfibrille piuttosto piccole (20 – 40 nm). Anche questo tipo è formato da tre catene a1 che però sono diverse sia da quelle di tipo I che da quelle di tipo II, e più glicosilate, il che gli conferisce la caratteristica della PAS-positività. Il Collagene di tipo IV è composto da una molecola di procollagene lunga il doppio di quella del tropocollagene perché ha degli extrapeptidi alle due estremità, ed è presente nelle membrane basali, con microfibrille laterali molto sottili (2-3 nm), organizzate tridimensionalmente. Dal Collagene di tipo V in poi, le percentuali nei tessuti sono molto basse, utili a legare le fibre collagene o garantire la coesione col tessuto epiteliale o cementare le microfibrille. Il secondo tipo di fibre con-nettivali è quello delle fibre reticolari formate da collagene di tipo III fibrillare, che non decorrono parallele ma tendono a emettere numerose collaterali che si confondono tra loro e formano una struttura reticolare di sostegno per le cellule circostanti. Il terzo tipo è dato dalle fibre elastiche che, a differenza delle due precedenti non sono formate da tropocollagene ma da due componenti: l’elastina che dona le proprietà elastiche, e da sottili fibrille (10-15 nm) parallele, composte da una glicoproteina, la fibrillina che però non ha proprietà elastiche. Le fibre elastiche insieme agli altri tipi di fibre, si trovano nel derma o formano il tessuto elastico della parete dei vasi arteriosi. Il loro contenuto tende a ridursi con l’età per l’aggressione da parte dei radicali liberi dell’ossigeno. La complessità finora descritta, non deve farci dimenticare la seconda componenete principale della sostanza intercellulare: la sostanza amorfa, che rappresenta il gel nel quale sono immerse le fibre connettivali appena descritte e che è costituita da: a) glucosaminoglicani (GAG), polimeri di unità costituite da 2 zuccheri, solforati e non solforati (acido ialuronico, condroitinsolfati); b) proteoglicani, associazioni di GAG con proteine che, uniti intorno a una molecola di acido ialuronico formano grandi aggregati che con l’età e sotto l’attacco dei ROS perdono la capacità di trattenere acqua nel tessuto connettivo. c) glicoproteine, molecole più piccole ma con una componente proteica più abbondante. d) aminoacidi, carboidrati, acidi grassi, gas respiratori, sciolti in acqua. Il nostro “tour” nel tessuto connettivo si conclude con un rapido sguardo alla componente cellulare autoctona, di origine embrionale mesenchimale, che per la sua capacità proliferativa dà luogo a linee cellulari diverse: Staminali indifferenziate, Fibroblasti, Fibrociti, Adipociti bianchi e bruni. Com’è noto, il fibroblasto produce tutte e tre le fibre connettivali, i proteoglicani e le glicoproteine; favorisce la maturazione del procollagene a tropocollagene e quindi la formazione delle microfibrille. Con l’età, però, entra in quiescenza (a meno che debba produrre tessuto cicatriziale) e si trasforma in un fibrocita, cellula più piccola in cui la sintesi proteica è ridotta ma sufficiente alla sintesi di glicosamminoglicani e glicoproteine utili al mantenimento dell’omeostasi della sostanza intercellulare. L’altra parte delle cellule che chiamiamo d’immigrazione, perché derivano da un mesenchima diverso da quello connettivale, arriva tramite il sistema vascolare (mastociti, macrofagi, plasmacellule e melanofori), per svolgere le tante funzioni necessarie alla salute e alla funzionalità cutanea. Il nostro viaggio nel connettivo si conclude qui, la conoscenza di questo fondamentale tessuto aiuta a meglio comprendere fenomeni quali l’invecchiamento cutaneo. Risaliamo in superficie attraversando l’epidermide, e parafrasando il Poeta, “ritorniamo a riveder le stelle”.