Il mancato inserimento nel Nomenclatore Tariffario rende alcune indagini genetiche non più garantite dal SSN
Nell’assistenza sanitaria le parole valgono e contano molto. Soprattutto se stanno a indicare quelle prestazioni diagnostiche per cui il Servizio Sanitario Nazionale garantisce l’esenzione totale dal pagamento. Può apparire una noiosa precisazione che interessa solo gli uffici e le burocrazie della sanità pubblica ma, in realta, la differenza fra essere o non essere iscritte nel Nomenclatore Tariffario, può rendere una diagnosi genetica molto più difficile per le famiglie, e soprattutto molto costosa. Dall’inizio del 2024, infatti, molte regioni torneranno a far pagare gli esami diagnostici per molte patologie genetiche e rare. Le regioni che possono disporre di fondi ad hoc potranno continuare ad erogare tutte le prestazioni gratuitamente ma a carico del bilancio regionale (extra LEA), altre proporranno la compartecipazione di spesa (mediante specifico ticket dal costo differenziato), altre ancora saranno costrette a proporre ai pazienti di sostenere per intero il costo della prestazione. Questa è la denuncia lanciata dalla dottoressa Daniela Zuccarello, rappresentante della SIGU (Società Italiana di Genetica Umana) e Dirigente Medico presso l’Unità Operativa di Genetica Clinica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova in una intervista rilasciata all’Osservatorio Malattie Rare: “Le diagnosi saranno più difficili e lente, e aumenteranno ancora le disparità tra regioni, alcune delle quali porranno diverse indagini genetiche a carico dei pazienti e delle famiglie”. Dal 1° gennaio 2024 è entrato in vigore il nuovo nomenclatore tariffario della specialistica ambulatoriale, che recepisce le modifiche introdotte dai LEA 2017. Non è certo un miglioramento, perché elenca prestazioni vecchie e non prevede invece molte prestazioni relative alla genetica, oggi essenziali per fornire una risposta diagnostica tempestiva e certa ai pazienti con patologie rare o senza diagnosi. Non averle previste significa che non saranno fornite gratuitamente. In pratica, non si potranno offrire gratuitamente indagini genetiche mirate in tutte quelle situazioni in cui non si può porre il sospetto diagnostico legato ad una malattia rara già esente. Questo anche perché ad oggi non tutte le malattie rare hanno un codice di esenzione, pur avendo un codice internazionale Orphacode. “Non saranno inoltre coperte dal Servizio Sanitario Nazionale – spiega da dottoressa Zuccarello – tutte quelle indagini volte ad individuare le cause delle malattie rare e genetiche senza diagnosi, che sono anche i casi più complessi, perché, nonostante le richieste fatte, a questo gruppo di malattie non è mai stato dato un codice. Ricordiamo che i malati rari senza diagnosi sono, secondo le stime più recenti, 350 milioni nel mondo. In Italia almeno 100.000, ma sicuramente molti di più”. La genetista continua con alcuni esempi: “non sono compresi i test necessari in quei casi in cui i bambini presentano ritardi cognitivi non sindromici, o quadri assimilabili allo spettro autistico, che oggi sappiamo essere un cappello generico all’interno del quale restano nascoste una lunga serie di patologie rare genetiche. Per altre condizioni, invece, per alcune delle quali si è vicini a terapie che potrebbero cambiare significativamente la qualità di vita dei pazienti, sarà possibile solo un’analisi ridotta a pochi geni, poiché l’elenco dei geni analizzabili per ogni specifica condizione risale al 2016”. C’è allora da chiedersi il perché di questo mancato inserimento nel Nomenclatore Tariffario. “Il problema nasce dai tempi lunghissimi trascorsi tra la definizione del nomenclatore LEA, che si è svolta nel 2014-2026, con il coinvolgimento degli stakeholder istituzionali e delle società scientifiche del settore, inclusa la SIGU, e l’entrata in vigore, che sarà a gennaio 2024, 10 anni dopo – spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttrice di Osservatorio Malattie Rare – L’evoluzione tumultuosa della genetica ha reso rapidamente obsoleto il sistema diagnostico che poteva andar bene 10 anni fa. A questo si aggiunge il problema mai superato dei codici di esenzione per malattia rara che non vengono aggiornati dal 2017 e la mancata applicazione di quanto previsto dal Testo Unico Malattie Rare, che aveva giustamente indicato la necessità di trasferire nel nostro sistema di esenzioni gli Orphacode, gli unici che garantirebbero di non lasciar fuori alcuna patologia nota: un combinato di ritardi che a gennaio esploderà sulle famiglie in cerca di diagnosi e sulle coppie a rischio che cercano o attendono un bambino”. Quali potranno essere le ricadute negative in diversi ambiti: la diagnosi delle malattie rare e genetiche, soprattutto nei casi in cui servirebbe il sequenziamento dell’esoma in trio. Un’indagine che costa più 2.000 euro e che oggi permette di indagare contemporaneamente su migliaia di geni, andando a mettere in luce tutte le potenziali anomalie genetiche, per poter dare risposte a pazienti e famiglie che si trovano ad affrontare gravi patologie debilitanti, molte ancora senza una diagnosi molecolare precisa. Ci sono poi le indagini genetiche volte a identificare malattie che non hanno codice di esenzione o per le quali non si riesce a porre un chiaro sospetto diagnostico. Per queste non sarà più possibile utilizzare il codice R99, ora usato per esentare le prestazioni diagnostiche in caso di sospetta malattia rara, perché per prescrivere l’analisi genetica sarà necessario identificare la malattia nell’elenco contenuto nell’allegato 4 (codici P) ed utilizzare lo specifico codice di prestazione, che corrisponde all’elenco dei codici R dell’allegato 7 (l’elenco delle malattie rare esenti). Ciò nonostante si sappia che la clinica spesso non è in grado di classificare e diagnosticare correttamente la malattia, soprattutto in caso di sintomatologie aspecifiche. Un altro problema riguarda il test prenatale non invasivo (NIPT), estremamente utile ad evidenziare le anomalie cromosomiche fetali più frequenti, che viene oggi considerato un valido mezzo di screening in gestanti senza rischio specifico di patologie genetiche, che non è stato inserito nell’elenco e ndra pagato di tasca propia. Infine, Va ricordato che il NIPT è un test di screening, non diagnostico. Se positivo, bisogna procedere con accertamenti diagnostici prenatali più invasivi e nel tariffario è inserita solo quella tramite cariotipo standard, che non può mettere in evidenza le microdelezioni, che andrebbero invece indagate tramite CGH-array. In questi casi, la gestante dovrà farsi carico di questa prestazione aggiuntiva (costo medio di 800 euro). Altro test che non sarà coperto dal Servizio Sanitario Nazionale è quello per la diagnosi preimpianto per le patologie monogeniche (PGT-M) e le alterazioni cromosomiche strutturali e numeriche (PGT-SR). “Un totale controsenso – lo definisce la dottoressa Zuccarello – perché la PMA è garantita dai LEA, ma l’indagine genetica per non trasferire gli embrioni portatori di patologie genetiche su coppie a rischio non lo è. È evidente che questo costringe le coppie a rischio di malattia genetica a rivolgersi ai centri privati, se i centri pubblici non possono offrire loro la possibilità di evitare un aborto terapeutico”. Con costi che si aggirano sui 5.000 euro per la sola prestazione di diagnosi preimpianto, alla quale bisogna sommare il costo dell’intera procedura di PMA. “Proseguiamo con le anomalie – continua Zuccarello – è scomparsa dal tariffario la voce relativa all’estrazione degli acidi nucleici, conservazione di una aliquota e spedizione ad altro laboratorio, che consentiva di ottenere e conservare un’aliquota di DNA del paziente per l’esecuzione di analisi successive. Ciò significa che i pazienti dovranno recarsi necessariamente di persona al centro di Genetica medica che esegue l’analisi, anche per il solo prelievo di sangue, mentre sarà impossibile per i centri periferici raccogliere il campione e spedirlo ai centri di riferimento”.