Non sembra il caso di dover attendere oltre per intervenire per bonificare e ridurre i rischi ambientali
La crescente mortalità da tumori in Italia, rappresenta una tendenza che negli ultimi decenni ha portato il nostro paese a essere in Europa tra quelli con il maggior numero di morti premature attribuibili all’inquinamento. Perché è ormai scientificamente confermato come i decessi per neoplasie siano geograficamente associati alla qualità ambientale. L’inquinamento atmosferico può provocare sia danni immediati che a insorgenza tardiva e irreversibile, fra cui patologie respiratorie come le polmoniti, le bronchiti e l’asma. Può inoltre aggravare altre malattie già presenti e interferire gravemente con lo sviluppo fisico e cognitivo del bambino. Almeno 19 categorie di tumori sarebbero legate alla qualità dell’aria, ai prodotti utlizzati nelle coltivazioni intensive e alla presenza di siti inquinati e da bonificare. Questa associazione appare quasi del tutto indipendente dallo stile di vita (obesità, abitudini sedentarie, scorretta alimentazione, alcolismo e fumo) e da fattori genetici che pure, per anni, erano stati individuati come cause principali nello sviluppo di tante neoplasie. L’aumento della consapevolezza che l’inquinamento ambientale è considerato uno dei principali fattori in grado di indurre la proliferazione tumorale ha indotto molti gruppi di ricerca ad approfondire l’analisi di varie sorgenti di inquinamento (p.e. qualità dell’aria, fumo passivo, radon, raggi ultravioletti, amianto, attività industriali, fertilizzanti, pesticidi, inceneritori, siti da bonificare, traffico, etc.). Quello che emerge da diversi studi, è che nel Nord Italia, dove le sorgenti di inquinamento sono più elevate, anche se si fuma di meno, la percentuale di obesità è minore, il reddito è più elevato e l’accessibilità all’assistenza sanitaria è più facile, il tasso di mortalità per cancro è relativamente maggiore che nel sud. Le statistiche dicono che nel nostro paese si registrano, ogni anno, circa 400.000 nuovi casi di tumori maligni e nel 2022 ci sono state 59.641 morti riferibili all’inquinamento, in particolare a quello atmosferico e da esposizione a campi elettromagnetici (rapporto EIONET e EEA). I decessi non sono distribuiti sul territorio in modo uniforme e casuale e confermano una concentrazione superiore nei territori più industrializzati e inquinati. Anche lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, (Sesto rapporto Sentieri) ha fotografato lo lo stato di salute, l’ospedalizzazione e la mortalità della popolazione presente sul territorio italiano relativamente a 46 siti contaminati di interesse nazionale e regionale, collocati in diverse regioni, dal bacino padano alle zone dell’entroterra del centro e sud d’Italia, registrando 1.409 decessi in età pediatrica-adolescenziale e 999 tra i giovani adulti nei 46 siti analizzati. In un moderno approccio definito one health numerose evidenze scientifiche hanno anche messo in luce la forte correlazione tra fattori ambientali e salute non umana, come quella di animali e piante, che contribuisce ad accrescere l’impatto sulla mortalità e la morbilità fra le popolazioni residenti. Oltre un milione di minori vive a meno di un chilometro da siti inquinati e nella prima decade degli anni 2000 si è assistito a un incremento di mortalità del 5% nel primo anno di vita dei bambini che abitano in queste zone, mentre il tasso di incidenza per i tumori nella fascia 0-14 anni sembra essersi stabilizzato. Gli esperti dicono che i tumori infantili possono rappresentare un indicatore di una trasmissione transgenerazionale del danno. Secondo Ernesto Burgio, pediatra e membro del Comitato Scientifico di Isde Italia, lo studio sul genoma conferma che l’attività dei geni è determinata dall’ambiente. Quando in un paio di decenni le catene alimentari e l’aria che si respira cambiano nella loro composizione molecolare, l’esposizione diventa collettiva e transgenerazionale. Nei nove mesi di gestazione le mamme esposte a piombo, mercurio, metalli pesanti e polveri sottili li assorbono e li tresferiscono prima al feto attraverso il cordone ombelicale, e poi al neonato con l’allattamento. Recentemente la Prof.ssa Patrizia Gentilini, oncologa da tempo impegnata nella campagna di tutela dell’allattamento al seno ha confrontato il latte materno in Norvegia che contiene 40 pg/Kg di diossine, con quello a Milano 80 pg/Kg, a Taranto 200 pg/Kg e a Brescia (zona Caffaro) 1200 pg/Kg. L’esposizione sin dalla nascita, quindi, seppur problematica, da sola non può provare con certezza una correlazione di causa ed effetto nei casi di neoplasie infantili, e forse le indagini devono prendere in considerazione molti più fattori. Secondo il dott. Fabrizio Bianchi (IFC-CNR, Pisa) che ben conosce la materia: “ci sono però studi di popolazioni per le quali si sa già che ci sono esposizioni a rischio per inquinamenti e contaminazioni ambientali. Che richiedono interventi di prevenzione primaria prima ancora di dimostrare che vi siano eccessi per la salute”. In conclusione, non sembra il caso di aspettare altre evidenze scientifiche per prendere delle misure di precauzione.