Una recente pellicola ha avuto il merito di accendere i riflettori su una malattia rara fortemente limitante
Fin dalla sua creazione, il cinema è stato uno strumento di comunicazione formidabile, capace di condizionare le opinioni degli spettatori, di suscitare emozioni, di risvegliare coscienze e di abbattere le barriere del tempo e dello spazio. Ma anche di portare all’attenzione del grande pubblico, realtà spesso dimenticate e storie che non sempre sono riuscite a guadagnarsi l’attenzione degli altri media. E sovente ciò avviene anche quando si parla di malattie, specie quelle rare. Prendiamo il caso del film l’Olio di Lorenzo. La pellicola, pluripremiata dalla critica, anche grazie alla magistrale interpretazione dei suoi due protagonisti, Nick Nolte e Susan Sarandon, aprì gli occhi di milioni di spettatori sull’adrenoleucodistrofia, una malattia genetica molto rara all’epoca semisconosciuta. Grazie all’enorme pubblicità della pellicola, aumentarono considerevolmente i fondi devoluti per la ricerca di una cura efficace per la malattia. E cosa dire poi dello struggente Elephant Man di David Linch, che diede dignità ai malati della Sindrome di Prometo, una patologia che comporta la crescita incontrollata di ossa e tessuti deformando il corpo e il volto di chi ne è affetto? L’ultimo caso, in ordine di tempo, è un film italiano proiettato in sala nell’ottobre 2020, dal titolo “Sul più bello”, tratto dall’omonimo libro di Eleonora Gaggero, che narra le vicende di Marta, impersonata dalla brava attrice ciociara Ludovica Francesconi, una ragazza apparentemente come tante ma che in realtà convive fin dalla nascita con una malattia fortemente limitante come la mucoviscidosi. Il film, che ha ricevuto anche il Patrocinio Scientifico della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica in virtù dell’aderenza alle attuali conoscenze scientifiche sulla malattia e del valore divulgativo, ha generato ben due seguiti e ha goduto di un immediato successo. Il motivo va ricercato forse nel fatto che la regia risulta sempre misurata, non puntando tanto sulla tragicità della condizione della protagonista quanto sul suo tentativo, comune a tanti altri pazienti affetti dallo stesso male, di condurre una vita normale nei limiti del possibile. Come è ben noto, la mucoviscidosi, o Fibrosi Cistica, è una malattia genetica che colpisce un individuo ogni 2500-3000 ed è considerata la più frequente malattia genetica letale della popolazione caucasica. Nascere con questa patologia significa avere due genitori entrambi portatori sani della malattia, una condizione che, in Italia, secondo quanto riportato sul sito del Bambino Gesù, riguarda un individuo ogni 25-30 abitanti. Responsabile della malattia è il gene CFTR, deputato al trasporto del cloro (ma anche del bicarbonato) fuori dalle cellule epiteliali. Il suo malfunzionamento, e la conseguente mancata fuoriuscita produce un anomalo riassorbimento di sodio e di acqua che disidrata il liquido extracellulare rendendo le secrezioni più dense e ostacolando il flusso di fluidi in tutte le strutture tubulari dell’organismo. Il fatto che poi il gene CFTR si trovi in diversi tessuti, fa sì che le manifestazioni della malattia siano molteplici, influendo sul corretto funzionamento di vari organi e apparati. Solitamente, comunque, la sede in cui vengono registrati i sintomi principali è quella dell’apparato respiratorio, in cui è causa di infezioni e progressiva formazione di bronchiectasie fino all’insufficienza respiratoria. Un’altra problematica è l’insufficienza pancreatica che può comportare una carenza di alcuni enzimi digestivi necessari a digerire gli alimenti che contengono grassi con conseguente malnutrizione. Nei soggetti maschili, è tipica anche l’atresia del dotto deferente che causa un passaggio ridotto di spermatozoi nel liquido seminale (azoospermia ostruttiva) e infertilità. La malattia, comunque, può colpire anche i seni paranasali, il fegato, le ossa e l’intestino. Tante le complicazioni da gestire per il paziente. A esempio, se si soggiorna a lungo in ambienti caldo-umidi, la sudorazione che comporta la perdita di acqua e di elettroliti, può causare una grave disidratazione, una Sindrome pseudo-Bartter (vd approfondimento a pag. 13) e manifestarsi in forme atipiche.
La diagnosi di fibrosi cistica si basa oltre che sulla rilevazione della sintomatologia caratteristica, anche su un test identificativo del sudore patologico (cloro nel sudore > 60 mmmol/l) e/o sul riscontro di due mutazioni che causano la fibrosi cistica nel gene CFTR. Parlando infine di cure, al momento, purtroppo, non esiste un trattamento che permetta di guarire, tuttavia sono molti gli strumenti a disposizione del medico per prevenire e curare le diverse complicanze della malattia. Per l’insufficienza del pancreas, a esempio, sono disponibili enzimi pancreatici, a cui va affiancato un regime dietetico specifico, in grado di garantire un adeguato assorbimento dei grassi alimentari e quindi una crescita soddisfacente. Sicuramente, però, l’arma più efficace resta la prevenzione delle complicanze polmonari, resa possibile dall’attività di fisioterapia quotidiana e d’aerosolterapia con antibiotici e farmaci che fluidificano le secrezioni e facilitano la pulizia mucociliare. Più recentemente, si è ricorso all’utilizzo di particolari farmaci, modulatori di CFTR, che ne recuperano in parte la funzione, andando ad agire direttamente sul difetto di base della malattia con riscontri estremamente positivi. Fondamentale, comunque, di fronte a un paziente affetto da mucoviscidosi, la presa in carico da parte di Centri di Cura specializzati nel trattamento grazie alla presenza di un’équipe multidisciplinare (medico, infermiere, fisioterapista, dietista, psicologo, microbiologo, ORL, radiologo, eventualmente il pediatra). Infine, va detto, che lo screening neonatale sul territorio nazionale ha permesso di abbassare notevolmente l’età media alla diagnosi di Fibrosi Cistica con risvolti prognostici positivi.