L’unica certezza è l’incertezza. Con questo aforismo degno del miglior Roberto Gervaso, potremmo descrivere l’attuale situazione dell’Italia in piena pandemia da Covid19. Non si sa a che punto è, e che come evolverà la campagna di vaccinazioni. Quanti saranno i vaccini a nostra disposizione nei prossimi mesi? La vaccinazione avrà luogo negli studi dei medici di base e in farmacia? Si riuscirà a garantire una priorità per gli over 80 e via via, nelle varie tappe del piano vaccinale, per i più fragili, i disabili e over 65? A partire da quale età si deve cominciare a vaccinare? La popolazione pediatrica sarà esclusa in considerazione che il vaccino Pfizer è somministrabile solo a partire dai diciotto anni e quello Moderna dai sedici? Le domande senza certezza non finiscono: i vaccini sono in grado di contrastare le varianti del virus che arrivano dalla Gran Bretagna, dal Brasile, Sudafrica e le altre che probabilmente arriveranno da altre parti del mondo nei prossimi mesi? Quanto dura l’immunità indotta oggi dai vaccini, e la protezione naturale successiva alla malattia? Arriveremo prima del prossimo inverno a costruire una efficace immunità di gregge? Quanto tempo impiegheremo per ridurre le notevoli differenze regionali difficilmente spiegabili solo sulla base dei criteri utilizzati in questa prima fase per la consegna (n° operatori sanitari e socio-sanitari, n° personale e ospiti RSA), e comunque favorite dall’assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale? Si riuscirà, prima o poi, ad avere accesso libero ai dati sui decessi legati alla pandemia e a quelli sull’efficacia delle mascherine, in possesso dell’Istituto Superiore di Sanità, utili per valutare l’operato delle nostre Istituzioni pubbliche? A leggere le risposte, spesso discordanti fra loro, provenienti dai tanti esperti stranieri e di casa nostra, l’impressione è che ci sono pochi punti fermi. Inoltre, mancano le dosi per far partire la cosiddetta fase 2 della campagna ma anche per i liberi professionisti sanitari, che ancora non sono stati vaccinati e che, secondo il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, sono oltre 100mila, di cui 13mila solo nel Lazio che pure è stata una delle prime Regioni per velocità ed efficienza. Il rischio paventato è che i sanitari possano diventare loro stessi dei diffusori del virus. L’adesione alla campagna vaccinale anti Covid è stata, per questo, fortemente raccomandata a tutti gli operatori sanitari, in particolare ai medici e agli infermieri dell’oncologia ed ematologia pediatrica. Lo stesso dicasi per i familiari e i conviventi adulti dei pazienti pediatrici, al fine di garantire a questi ultimi una protezione indiretta attraverso la limitazione della diffusione dell’infezione e il raggiungimento dell’immunità di gregge. È questa la posizione ufficiale assunta dall’AIEOP (Associazione Italiana di Oncologia ed Ematologia Pediatrica), rappresentante di tutti i centri di onco-ematologia pediatrica italiani, che intanto informa che nella popolazione oncologica pediatrica (anche per i pazienti in terapia) l’infezione da SARS-COV-2 ha avuto finora un decorso clinico più lieve, sia come morbilità (numero di casi affetti) che come mortalità, rispetto a quanto osservato nel paziente adulto. L’associazione sottolinea, inoltre, che la prosecuzione del trattamento oncologico secondo i protocolli e le linee guida in atto è la priorità assoluta per i bambini e gli adolescenti in cura; a tal fine, deve essere profuso ogni sforzo per ridurre al minimo il rischio di infezione e consentire al paziente di ricevere la terapia in sicurezza. Restando in tema di bisogno di certezze, va sottolineato che la pandemia SARS-COV-2/COVID-19 comporta una complessa riorganizzazione dei reparti e delle attività, non più in un contesto di emergenza, ma in uno stato di gestione del rischio per un periodo di tempo non meglio precisato, con la forte necessità di garantire standard elevati nella cura e nella ricerca in oncologia pediatrica. I dati di sicurezza ed efficacia del vaccino anti-SARS-COV-2, tuttavia, sono ancora limitati alla popolazione di soggetti con età superiore ai 16 anni. Pertanto, in attesa dei risultati dei trials in corso per l’estensione della vaccinazione all’età pediatrica, non vi è attualmente una raccomandazione specifica per la popolazione pediatrica e, in particolar modo per i pazienti onco-ematologici al di sotto dei 16 anni. In attesa di una protezione indiretta tramite la cosiddetta immunità di gregge, la vaccinazione è invece effettuabile e fortemente raccomandata per i pazienti sopra i 16 anni, e l’AIEOP consiglia la vaccinazione anche dei loro familiari e conviventi adulti. Un discorso a se stante è quello del passaporto vaccinale, documento in grado di certificare l’avvenuta vaccinazione anti-Covid, per molti strumento fondamentale per rimettere in moto l’economia e il turismo. Un documento da richiedere a chi ha rapporto con il pubblico, per i ristoratori che vogliano riaprire, per chi vuole prendere un aereo o un treno. Un’ottima idea, ma che dovrebbe essere condiviso a livello mondiale, non città per città, o solo regione per regione. Se non si assumono misure similari fra gli Stati, o si interromperanno i rapporti con chi non hanno adottato il passaporto anticovid oppure i rischi di nuovi contagi resteranno alti. Tutto ciò conduce alla problematica dell’obbligatorietà della vaccinazione, che in Italia trova pareri discordi fra i giuristi e le forze politiche. (vedi box)
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