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Henné: una pratica diffusa ma non sempre sicura

Man mano che i bambini crescono, con l’età aumenta anche la loro percezione estetica. Soprattutto le bambine iniziano a prestare meno attenzione ai giochi e più ai trucchi, alle acconciature e ai dettagli del vestiario. Certo si tratta di un gusto estetico ancora in erba, condizionato dai dettami della moda e lontano da una reale comprensione delle diverse tipologie di look. Anche la componente psicologica è solitamente, specie in periodo pre adolescenziale, molto limitata. Non ci si veste dark perchè si ha un malessere interiore e non si scelgono i colori in base alle tinte della propria felicità. A dettare la moda sono il confronto con gli altri bambini, i consigli di “mamme” e zie, la televisione ricca di serie tv pensate per bambini “universali”, accessiorati in modi fino a poco tempo fa impensabili per il nostro paese ma lo stesso molto diffusi. Non stupisce quindi come capiti sempre più spesso di vedere, specie d’estate, bambini con la pelle di piedi, mani e a volte anche il viso, decorata con ricami disegnati nel chiaro stile mediorentale. Stiamo parlando dell’Henné, ossia tatuaggi removibili, effettuati con una tinta scura ricavata dalle foglie essiccate di Lawsonia inermis, un arbusto spinoso della famiglia delle Lythraceae diffuso in India e Nord Africa. In questi luoghi, sin dall’antichità, l’henné veniva utilizzato esattamsento come oggi, per abbellire il corpo.

Probabilmente collegati in origine alla religione, come parrebbero dimostrare i disegni sulle mani e sui piedi della dea indiana Radha Kishna che è possibile ammirare in numerosi rappresentazioni, questa pratica divenne in seguito una vera arte. I maestri della decorazione con henné venivano chiamati ad abbellire le spose e i disegni realizzati servivano per esaltarne bellezza, armonia, gioia e capacità seduttiva nei riguardi del proprio partner. Nei secoli, la cosmesi a base di henné si diffuse nelle terre limitrofe, arrivando fino ai paesi del Mediterraneo e del Nord Africa, dove, attualmente, ha ancora un forte valore simbolico oltre che estetico, specie per la decorazione delle mani e dei piedi, uniche aree del corpo scoperte nelle donne che vivono in paesi di religione musulmana. Probabilmente fu proprio questa forte valenza ideologica a impedirne la diffusione in Sicilia o in Spagna, che pure rimasero per secoli sotto il dominio arabo. Soltanto più recentemente, lo sviluppo del turismo di massa e la ricerca di novità estetiche in luogo di una globalizzazione non solo economica ma anche culturale, ha portato in Europa il gusto per gli affascinanti look etnici, carichi di esotismo, mistero e sensualità. Ma cos’è esattamente l’Henné? Si tratta di una tintura che si ricava, come detto, da una polvere estratta da una pianta tipica del Nord-Africa e del Medio-Oriente. La sua preparazione, però, cambia a seconda del colore scelto. In commercio infatti ne esistono di due tipi: uno è color rosso naturale (quello che si usa anche come tintura per i capelli), e applicato sulla pelle o sulle unghie assume un colore più o meno vivace, dall’arancio all’amaranto, mentre l’altro tipo è nero. Nel primo caso la polvere dell’henné, naturalmente verde, viene diluita con del succo di limone e alcune gocce di oli vegetali essenziali. Nel caso dell’henné nero, invece, la polvere viene diluita con con acqua tiepida o thè. In entrambi i casi, la mistura ottenuta va filtrata e raccolta in un contenitore munito di punta molto fine (tipo quello usato dai pasticceri per la crema) che eroga il prodotto in modo uniforme e permette di modulare lo spessore della linea in base alla pressione esercitata. In India si usa ancora molto una forma di stuzzicadenti, con cui si distribuisce, senza spreco, la mistura contenuta in una boccetta. Nel Nord-Africa c’è anche chi, per lo stesso motivo, fa ricorso a una siringa con ago corto. Più moderna, e più usata in Europa fra i professionisti del tatuaggio, è una sorta di polpetta a punte di varie misure.

Oltre alla preparazione, in base al colore scelto varia anche il tempo di applicazione. Per l’henné rosso bisogna far riposare la preparazione per almeno un’ora, bagnare con acqua la parte del corpo da decorare e passare al disegno. L’essiccazione avviene in 1-2 ore, durante le quali va impedito il contatto con qualsiasi superficie: il decoro si rovinerebbe e le macchie di henné sono quasi indelebili sui tessuti. La mistura preparata e conservata è in grado di diffondere il colore per qualche giorno. Per l’henné nero, la crema va usata subito perché in poche ore perde le sue proprietà. Si asciuga in circa un’ora e il disegno dura circa 15 giorni. L’esperienza e l’ampia diffusione di questo tatuaggio, hanno finora fatto pensare che questa pratica fosse innocua e che, al massimo, potesse causare degli arrossamenti e pruriti solamente temporanei. Da ciò i classici consigli: non tatuare su zone molto delicate tipo palpebre e mucose, e non ripetere più volte sulla stessa zona cutanea che potrebbe andare incontro a sensibilizzazione. Tuttavia è ormai assodato che l’henné può dar luogo a una forma di allergia su base individuale, imprevedibile quanto quella nei riguardi di qualsiasi cosmetico. Sotto accusa, da parte dei ricercatori, è un additivo in particolare: la pfenilenediamina, contenuto nelle preparazioni commerciali. In uno studio pubblicato sugli Archives of Dermatology alcuni ricercatori della National Yang-Ming University di Taipei, a Taiwan, ricordano che negli ultimi anni, non solo in Asia, i tatuaggi temporanei sono diventati sempre più popolari come alternativa ai classici tatuaggi permanenti, e almeno in 6 pazienti su 10 che avevano avuto un’eruzione cutanea dopo un tatuaggio temporaneo, test allergometrici hanno evidenziato una moderata o grave reazione alla p-fenilenediamina. Durante il X Congresso Mondiale di Dermatologia Pediatrica tenutosi qualche anno fa a Roma, il Prof. Paolo Pigatto dell’Università di Milano segnalò che il black-henné in commercio contiene un mix di sostanze fra le quali la parafenilendiammina-PPD che potrebbe provocare una reazione allergica. I casi di allergia sarebbero in aumento proprio negli adolescenti e negli individui più giovani, vista la predisposizione dei genitori a concerdere ai figli di farsi “tatuare” temporaneamente in spiaggia d’estate, quando si moltiplicano i sedicenti esperti decoratori. Queste reazioni possono però avere serie conseguenze, lasciando residui e tracce come iper o ipopigmentazione e cicatrici, oltre a una sensibilizzazione permanente alla PPD e a composti simili. Senza eccedere in allarmismi, il comportamento più appropriato per un genitore che chiede consiglio al pediatra sull’opportunità o meno di sottoporre il figlio a questa pratica, sarebbe quello di sottoporlo a test appropriati per scoprire se hanno una predisposizione alle allergie verso la parafenilendiammina-PPD o altri prodotti chimici. Sempre da evitare per quei bambini e persone con pelli sensibili. Per chi sfida la sorte, bisognerebbe ricordare che la dermatite allergica da contatto potrebbe manifestarsi anche qualche settimana dopo. In questi casi è sempre utile consigliare una crema al cortisone ed evitare di esporre la parte interessata ai raggi solari.

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Tag:, , , , , , Last modified: Luglio 15, 2020
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